Contenzioso

Dalla Corte Ue un giro di vite sulla reperibilità

di Angelo Zambelli

Con la sentenza nella causa C-518/15 la Corte di giustizia dell'Unione europea fornisce importanti precisazioni sull'interpretazione della nozione di «orario di lavoro» ai sensi del diritto comunitario.


A richiedere l'intervento dei giudici lussemburghesi è la Corte del Lavoro di Bruxelles, che si interroga se – conformemente alla Direttiva 2003/88/CE – debba essere considerato o meno orario di lavoro il turno di guardia svolto da un vigile del fuoco che, in base al Regolamento della caserma di appartenenza, non solo sia obbligato a domiciliarsi in un luogo tale per cui il tempo necessario per raggiungere la caserma non sia superiore a 8 minuti «in condizioni di traffico normale e rispettando il Codice della Strada», bensì durante i periodi di reperibilità sia obbligato a rimanere sempre entro una distanza dalla stazione dei vigili del fuoco tale per cui il tempo necessario a raggiungerla sia percorribile nei medesimi 8 minuti.

Il dato di partenza è la citata Direttiva (recepita in Italia con il Dlgs 66/2003) che, nel dettare «prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell'orario di lavoro», definisce l'orario in questione come «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali» (articolo 2, n. 1).

In precedenti pronunce, la Corte europea aveva già avuto modo di affermare come tra gli elementi caratteristici della nozione di «orario di lavoro» non figurasse l'intensità dell'attività svolta (C 14/04), mentre la presenza fisica e la disponibilità del lavoratore sul luogo di lavoro durante le ore di guardia, in vista della prestazione dei suoi servizi professionali, dovessero essere considerate come rientranti nella definizione di esercizio delle funzioni del lavoratore a prescindere dall'attività da quest'ultimo effettivamente svolta (C 303/98).

Ne discende, secondo la pronuncia in esame, che il fattore determinante per la qualificazione come «orario di lavoro», ai sensi della Direttiva 2003/88, è il fatto che il prestatore debba essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro per poter immediatamente fornire i servizi da questi eventualmente richiesti.
In presenza di un tale obbligo, infatti, il turno di guardia non può essere considerato come periodo di semplice “reperibilità”, che è situazione la quale si verifica quando il lavoratore - pur dovendo essere sempre raggiungibile - non è obbligato ad essere presente sul luogo di lavoro. In tali casi, infatti, «il lavoratore può gestire il suo tempo con maggiore libertà e dedicarsi ai propri interessi. Di conseguenza, solo il tempo relativo alla prestazione effettiva di servizi dev'essere considerato come “orario di lavoro” ai sensi della direttiva 2003/88» (C 151/02).

Nel caso in commento, invece, «l'obbligo di essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro nonché il vincolo derivante, da un punto di vista geografico e temporale, dalla necessità di raggiungere il luogo di lavoro entro 8 minuti, sono di natura tale da limitare in modo oggettivo le possibilità del lavoratore di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali». La nozione comunitaria di «orario di lavoro», a cui gli Stati membri non possono derogare in senso sfavorevole al lavoratore, impone quindi di considerare «orario di lavoro» il servizio di guardia effettuato con vincoli siffatti.

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