Contrattazione

«Deroghe», la via d’uscita ai vincoli del decreto dignità

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

È partita la corsa a modificare il decreto dignità, le cui disposizioni che contengono un robusto giro di vite su contratti a termine e somministrazione, rafforzato da una successiva circolare del ministero del Lavoro, sono divenute pienamente operative da novembre con l’esaurirsi della fase transitoria.

A fare da apripista nel “correggere” il provvedimento è stata, prima di Natale, l’intesa raggiunta da Assolavoro con i sindacati (hanno firmato tutti, Felsa Cisl, Nidil Cgil e Uil.tem) per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di settore.

Tra le disposizioni più rilevanti del nuovo accordo, valido fino al 2021, figurano proprio quelle che “superano” alcuni rischi derivanti dall’applicazione, tout court, delle nuove e più stringenti regole, che, da gennaio, avrebbero messo a rischio 53mila persone poiché, raggiunti i 24 mesi di lavoro con la medesima agenzia, non sarebbero potute più essere impiegate con un contratto di somministrazione a termine. Ciò sarebbe potuto accadere perché la circolare del ministero del Lavoro (la 17 del 2018) ha incluso, nel computo dei 24 mesi alla successione di contratti a termine intercorsi tra le medesime parti, tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione anche quindi quelli antecedenti alla data di entrata in vigore della riforma (determinando, così, il rischio per una platea assai vasta di lavoratori).

Per evitare tutto ciò, l’intesa Assolavoro-sindacati dispone che tutti i periodi di lavoro a tempo determinato contrattualizzati tra le medesime parti (Apl e lavoratore) sono conteggiati, ai soli fini del computo dell’anzianità lavorativa antecedente al 1° gennaio 2019, per un massimo di 12 mesi nell’arco temporale di 5 anni. Dal che ne consegue che qualunque sia il numero di mesi di impiego con contratti di lavoro in somministrazione con la medesima agenzia nel periodo precedente il 1°gennaio 2019, il lavoratore potrà in ogni caso essere ancora impiegato con la medesima tipologia contrattuale per almeno altri 12 mesi.

«Per garantire continuità occupazionale alle persone impiegate in somministrazione superando anche alcuni rischi determinati dal Decreto Dignità, abbiamo faticosamente trovato un accordo con i rappresentanti dei lavoratori, che include tra l’altro nuove prestazioni di welfare e più formazione finalizzata. La scelta di verificare gli effetti della norma e apportare gli opportuni aggiustamenti appare saggia e necessaria», sottolinea il presidente di Assolavoro, Alessandro Ramazza.

Sul medesimo fronte, ovvero le restrittive disposizioni introdotte da decreto dignità e circolare ministeriale, l’accordo aggiunge due disposizioni per favorire la continuità lavorativa in relazione sia alle proroghe, sia al limite dei 24 mesi e alla successione dei contratti a tempo determinato tra Apl e lavoratore. «Nelle ipotesi di somministrazione di lavoro con il medesimo utilizzatore - recita il testo - la durata massima è individuata dalla contrattazione collettiva applicata dall’utilizzatore. In assenza di tale disciplina la durata massima della successione dei contratti è fissata in 24 mesi». E inoltre: «Nelle ipotesi di somministrazione di lavoro su diversi utilizzatori, la successione di contratti di lavoro a tempo determinato tra agenzia e lavoratore non può, in ogni caso, superare la durata massima complessiva di 48 mesi».

Per la formalizzazione dell’intesa si attendono una serie di passaggi procedurali: domani è in calendario il consiglio direttivo di Assolavoro, i sindacati stanno completando le proprie consultazioni, tra fine gennaio e inizio febbraio è attesa la firma finale.

In questo caso è coinvolto un contratto nazionale. Ma sui territori, già da diversi mese, c’è tutto un lavorio svolto “sottotraccia” dalle parti attraverso la contrattazione di prossimità (ex articolo 8 del dl 138 del 2011, il cosiddetto decreto Sacconi) per “adattare” alle esigenze di aziende e settori produttivi la nuova e più rigida disciplina sul lavoro a tempo determinato.

Non solo. In legge di Bilancio lo stesso governo è corso ai ripari, introducendo il comma 403 che modifica l’articolo 1, comma 3, del decreto dignità. La disposizione contenuta in manovra esenta dai nuovi limiti i contratti a tempo determinato stipulati da: pubbliche amministrazioni, università private, incluse le filiazioni di università straniere, istituti pubblici di ricerca, società pubbliche che promuovono l’innovazione ovvero enti privati di ricerca. Nonché i lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di supporto all’innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa, ai quali, pertanto, continuano ad applicarsi le vecchie regole.

La corsa alle “correzioni” del decreto dignità potrebbe non finire qui. Raccogliendo le preoccupazioni delle imprese e dei sindacati, la Lega sta infatti spingendo per fare “un tagliando” al dl 87. Due infatti sono gli aspetti più critici della nuova normativa: la re-introduzione delle causali, che dopo i primi 12 mesi “liberi” diventano obbligatorie in caso di proroghe e scattano sempre nei rinnovi; e l’aggravio contributivo, dello 0,5%, aggiuntivo rispetto all’1,4% già previsto dalla Fornero.

Sulle causali, l’idea caldeggiata dal Carroccio è quella di far rientrare nella partita la contrattazione collettiva (anche aziendale o territoriale), alla quale affidare il compito di prevedere “motivi” aggiuntivi rispetto a quelli delineati dal decreto dignità per ricorrere a un contratto a termine, come già, in passato, fu fatto con la legge 56 del 1987, articolo 23. Per quanto riguarda l’aggravio dello 0,5% per ciascun rinnovo a termine, l’ipotesi è quella di esentare gli interinali, o quanto meno, gli stagionali previsti da contratto. Sono stati presentati emendamenti parlamentari in tal senso nel decreto semplificazioni, attualmente all’esame del Senato. Per conoscerne l’esito, bisognerà attendere le prime votazioni.

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