Contenzioso

Per il licenziamento economico i criteri di selezione previsti sui collettivi

di Giulia Bifano e Massimiliano Biolchini


I criteri stabiliti dalla legge per selezionare i dipendenti in esubero nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo sono applicabili in via analogica anche ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Pertanto, è illegittima in quanto contraria ai principi di correttezza e buona fede, la condotta del datore di lavoro che, nel procedere ad una riduzione di personale all'interno di un dipartimento aziendale, disponga il licenziamento di un dipendente senza avere preliminarmente operato una comparazione tra lavoratori aventi mansioni fungibili nello stesso dipartimento, alla luce di criteri oggettivi quali il carico familiare e l'anzianità di servizio, o diversi parametri concordati con le rappresentanze sindacali.
Il lavoratore così estromesso dall'azienda ha diritto a vedersi reintegrato sul posto di lavoro, oltre che a percepire un'indennità pari alle retribuzioni che gli sarebbero spettate dal giorno del licenziamento a quello di rientro in servizio.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 27094/18, confermando la decisione con cui la Corte d'appello di Napoli aveva disposto la reintegra di una lavoratrice che, pur licenziata a seguito di una riorganizzazione aziendale la cui genuinità era stata accertata in giudizio, aveva lamentato la natura discriminatoria del recesso datoriale, comminato senza che a tale scopo venisse comparata la propria condizione con quella di un collega avente le stesse mansioni, ma un inferiore carico familiare e una minore anzianità di servizio.
Investita della questione, la Corte d'appello aveva negato la natura discriminatoria del licenziamento, riconoscendo tuttavia l'illegittimità dello stesso in quanto non sorretto da una valutazione fondata sui criteri stabiliti dalle norma in materia di licenziamenti collettivi, “analogicamente adottabili anche per i licenziamenti individuali in funzione di concretizzazione del principio di correttezza e buona fede”.
Nel decidere il ricorso del datore di lavoro, la Cassazione ha anzitutto ribadito come non sia necessario, per procedere legittimamente a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che una società registri un andamento economico negativo, “essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa”.
Ciò premesso, la Corte di legittimità ha tuttavia confermato integralmente le conclusioni rese in Appello, sottolineando come tale decisione non fosse in contrasto - contrariamente a quanto sostenuto dal datore di lavoro- con la tutela della libertà di scelta imprenditoriale disposta dall'art. 41 della Costituzione.
Ed infatti, prosegue la Corte, pur potendo il datore di lavoro liberamente scegliere di ridurre il proprio personale, è comunque tenuto ad attenersi in tale circostanza ai generali principi di correttezza e buona fede, in base ai quali si rende necessaria una “valutazione comparativa tra lavoratori di pari livello, interessati dalla riduzione ed occupati in posizione di piena fungibilità”.

sentenza n. 27094/18 della Corte di cassazione

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