Professionisti/2, così la parcella accoglie l’equo compenso
Arriva l’equo compenso per i professionisti. Ma le novità - introdotte dal decreto fiscale, il Dl 148/2017, e in vigore dal 6 dicembre scorso - come impatteranno sulle parcelle dei professionisti?
Per tentare una stima degli effetti, gli esperti del Sole 24 Ore del Lunedì hanno elaborato gli esempi pubblicati a fianco, riferiti a tre casi concreti che possono finire sulle scrivanie dei professionisti. Sono state considerate, in particolare, pratiche predisposte per clienti “forti”. È lo stesso decreto fiscale, del resto, a precisare che le tutele per l’equo compenso coprono le prestazioni professionali rese a favore di banche, assicurazioni, grandi imprese e pubbliche amministrazioni: vale a dire quei committenti che, sfruttando la propria posizione dominante, sono in grado di imporre ai professionisti compensi e condizioni stabilite in via unilaterale.
Così, i casi considerati riguardano una controversia per il risarcimento del danno da incidente stradale, in cui la compagnia assicurativa dell’automobilista chiamato in causa si rivolge a un avvocato per la difesa in giudizio; un avviso di accertamento per una presunta evasione ricevuto da una grande società, che intende impugnare l’atto e incarica un commercialista di seguire la controversia di fronte alla commissione tributaria; infine, l’assunzione di quattro nuovi dipendenti da parte di una società di grandi dimensioni, che affida a un consulente del lavoro tutti gli adempimenti.
Per ipotizzare quale potrebbe essere il compenso «equo» nelle tre ipotesi, i calcoli sono stati fatti sulla base dei «parametri» previsti dai decreti ministeriali varati per le diverse categorie. Si tratta dei decreti 140/2012 per i commercialisti, 46/2013 per i consulenti del lavoro e 55/2014 per gli avvocati. Per quest’ultimo, il ministero della Giustizia ha avviato una revisione per dettagliare, tra l’altro, i compensi che spetterebbero agli avvocati che seguono le procedure stragiudiziali di mediazione e negoziazione assistita: lo schema di decreto di modifica è stato inviato nei giorni scorsi al Consiglio di Stato.
I decreti ministeriali indicano i compensi da riconoscere ai professionisti per le attività svolte, che variano in base a diversi criteri, a partire da quello del valore e della complessità della pratica da seguire. Sono strumenti di riferimento (soprattutto) per i magistrati, chiamati a stabilire la parcella nei casi in cui professionista e cliente non riescano a trovare un accordo. Non si tratta, quindi, di una riedizione delle “vecchie” tariffe minime, che i clienti e i professionisti dovevano rispettare e che sono state abrogate ormai 11 anni fa dal decreto Bersani (si veda anche l’analisi pubblicata in basso).
Il calcolo della parcella è stato fatto utilizzando i «parametri» perché sono uno dei criteri a cui il decreto fiscale fa riferimento per determinare l’equo compenso per il professionista, vale a dire «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto», al «contenuto» e alle «caratteristiche» della prestazione resa. È vero che i parametri non sono l’unico “aggancio” individuato. Il decreto infatti dettaglia anche alcune clausole «vessatorie», che determinano un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista: queste clausole possono essere dichiarate nulle dal giudice se impugnate entro due anni dalla loro sottoscrizione; e il meccanismo riporta ai «parametri» perché è tenendo conto di questi ultimi che il magistrato determinerà il compenso.
È chiaro che, in molti casi, le parcelle calcolate sulla base dei «parametri» sarebbero decisamente più elevate di quelle riconosciute ai professionisti dalle convenzioni proposte dai clienti “forti”. Resta da capire quanto i valori ritenuti «equi» di riferimento saranno in grado di condizionare il mercato. È vero, infatti, che i professionisti hanno la possibilità di contestare in giudizio le clausole vessatorie e i compensi troppo bassi. D’altro canto, però, chi lavora abitualmente con un cliente “forte” rischia di non avere comunque il potere contrattuale per chiedere una parcella più elevata; e arrivare alla contestazione del compenso in giudizio equivale, in molti casi, a chiudere i rapporti per il futuro.
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