Previdenza

Adesioni ancora scarse, una spinta può arrivare dal bonus rivalutazione

Più di un commercialista su dieci ha versato volontariamente alla propria cassa di previdenza una cifra superiore a quella corrispondente all’aliquota base fissata per i contributi soggettivi obbligatori: è la categoria professionale che sta investendo di più, in termini relativi, per garantirsi una pensione più elevata una volta terminata l’attività lavorativa.

Sul fronte opposto, invece, ci sono i consulenti del lavoro: meno del 2% ha scelto, lo scorso anno, di aderire alla contribuzione aggiuntiva. In mezzo, - sempre in termini relativi (% sugli iscritti che hanno dichiarato redditi l’anno scorso)-, si piazzano ragionieri ed avvocati. In generale, tra i professionisti dell’area economico-legale ancora in pochi riescono ad accantonare per un assegno di quiescenza supplementare.

Nel dettaglio, secondo i dati forniti dalla Cnpadc, la cassa previdenziale dei dottori commercialisti, nel 2018 (le dichiarazioni sono state acquisite entro metà novembre) sono stati 6.491 gli iscritti che hanno deciso di versare più del 12% - aliquota minima obbligatoria - con lo scopo di garantirsi un montante più elevato e, quindi, una prestazione pensionistica più alta: si tratta del 10,3% degli iscritti che hanno presentato dichiarazione nell’anno in corso (oltre 63mila), quota in crescita rispetto al 9,5% registrato nel 2017 (quando erano stati 5.959 i professionisti a versare più del minimo).

Sembra dare frutti, quindi, il sistema premiante progressivo varato (nel 2012) dalla Cnapdc, che prevede un bonus di rivalutazione crescente per i contributi volontari oltre la soglia obbligatoria (si veda altro articolo).

Leggermente più bassa, in termini relativi, la quota di ragionieri che, nel 2017 (ultimo dato disponibile), ha deciso di versare più del dovuto: sono stati circa 2.650, poco meno del 9,2% rispetto al totale degli iscritti, anche in questo caso con una crescita delle adesioni rispetto alle annualità precedenti. Il 4,2% degli iscritti, in particolare - quasi la metà di chi ha optato per contributi volontari - ha deciso di mettere da parte un 1% in più rispetto all’aliquota base del 14% (versando dunque il 15%) mentre l’1,2% ha dato il massimo, raggiungendo l’aliquota del 24%; il resto si distribuisce tra questi due estremi. Da notare che in questo caso - come per le categorie successive - non è prevista alcuna premialità per chi volontariamente incrementa il montante pensionistico.

In base ai dati raccolti dalla Cassa forense emerge che meno di un avvocato su sette - il 6,9% degli iscritti dichiaranti nel 2017, corrispondenti a oltre 15.800 professionisti per un totale versato “volontariamente” di oltre 5,17 milioni di euro - ha scelto di aggiungere una quota modulare (tra l’1% e il 10%) al contributo soggettivo obbligatorio: il numero di coloro che hanno versato di più è cresciuto progressivamente negli ultimi tre anni (nel 2016 erano stati 14.450, mentre nel 2015 poco meno di 13.300).

Fanalino di coda, i consulenti del lavoro. L’idea di integrare la pensione base non sembra interessare al momento alla categoria, visto che solo l’1,8% degli iscritti Enpacl - 390 professionisti - ha fatto ricorso nel 2017 alla contribuzione aggiuntiva, oltre il contributo minimo. Sebbene si tratti di quote basse, nell’ultimo triennio si è comunque registrato un incremento dei professionisti che hanno scelto questa opzione (1,6% nel 2016, 1,3% nel 2015), che è vincolata al versamento di moduli aggiuntivi di contribuzione da 500 euro o multipli.

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