Contrattazione

Articolo 18, voucher e appalti, la Consulta decide

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di Claudio Tucci

L’estensione della tutela reale, nei casi di licenziamenti dichiarati illegittimi, anche alle imprese sopra i cinque dipendenti. L’abrogazione della normativa sul lavoro accessorio (i cosiddetti «voucher»); e, attraverso una nuova modifica al decreto Biagi del 2003 (il Dlgs n. 276), il ripristino della responsabilità solidale “piena” tra committente e appaltatore.

In mattinata la Corte costituzionale decide sulla legittimità dei tre quesiti referendari sul lavoro promossi dalla Cgil: un eventuale semaforo verde della Consulta aprirà la strada alle urne (tra aprile e giugno, se nel frattempo non verranno indette elezioni politiche anticipate), e il quesito, soggetto al voto popolare, passerebbe in caso di maggioranza dei voti favorevoli e superamento del quorum (partecipazione del 50%+1 degli aventi diritto).

In punto di stretto diritto, i tre quesiti referendari oggi al vaglio dei giudici costituzionali apporterebbero modifiche rilevanti al Jobs act, e più in generale all’attuale legislazione lavoristica. A cominciare da una vera e propria “rivoluzione” in materia di licenziamenti: attualmente, dal 7 marzo 2015, per gli assunti a tempo indeterminato, nella nuova veste del contratto a tutele crescenti, in caso di recesso ingiustificato da parte del datore di lavoro, è prevista, prevalentemente, una sanzione economica che cresce con l’anzianità di servizio, e varia da un minimo di quattro fino a un massimo di 24 mensilità. Per i “vecchi assunti”, cioè dipendenti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015, è, invece, in vigore la disciplina dell’articolo 18 rivisto nel 2012 dalla legge Fornero.

Con il referendum abrogativo proposto dal sindacato guidato da Susanna Camusso si punterebbe a cancellare tout court le innovazioni introdotte dalla riforma Renzi-Poletti, per ripristinare, per tutti i lavoratori, la sanzione del reintegro nel posto di lavoro nelle ipotesi di licenziamenti ritenuti illegittimi, estendendo - è una novità - questa tutela reale anche alle imprese sotto i 15 dipendenti, fino, cioè, a cinque dipendenti (si introdurrebbe una nuova soglia dimensionale per le aziende mai prevista finora, neanche dallo Statuto dei lavoratori del 1970 - pure in Germania, per esempio, da una decina d’anni, le tutele sui recessi datoriali si applicano nei confronti delle imprese con oltre 10 addetti).

Non meno significativo sarebbe l’impatto sull’attuale ordinamento del quesito in materia di appalti: riformata dal decreto Biagi del 2003 la responsabilità “in solido” tra committente e appaltatore è tutt’oggi vigente e, nei fatti, estesa a tutta la catena, compresi i subappalti (per difendere i lavoratori nei casi di inadempimenti legati al rapporto di impiego, ma anche verso gli enti previdenziali - e al tempo stesso per “spronare” l’impresa committente a scegliere appaltatori seri e solvibili).

Nel 2012, dopo un primo tentativo operato, nel 2006, dal decreto Bersani, sono stati introdotti due correttivi per attenuare questa “responsabilità oggettiva” in capo al committente: da un lato, è stata concessa alla contrattazione collettiva nazionale di derogare alla responsabilità solidale prevedendo metodi e procedure di controllo della regolarità degli appalti, sostitutivi appunto dalla responsabilità solidale; dall’altro, in sede processuale, è stato previsto l’obbligo per il lavoratore di chiamare in giudizio congiuntamente il suo datore e il committente, consentendo a quest’ultimo di chiedere il beneficio della preventiva escussione, in base al quale se il giudizio di merito si conclude con una condanna in solido, il lavoratore deve agire in via esecutiva prima nei confronti dell’appaltatore, e solo successivamente, se risulta incapiente, nei confronti del committente. Ebbene, il quesito referendario della Cgil punta ad abrogare queste modifiche; con il rischio, se accolto, di far tornare le incertezze applicative del passato, «ed esponendo le imprese a contenziosi incontrollabili - spiega il giuslavorista Arturo Maresca (università La Sapienza) - e nei quali il committente non riuscirebbe neppure esercitare il diritto di difesa costituzionalmente garantito». E non a caso a esprimere preoccupazione per questa continua incertezza delle regole è anche Vincenzo Boccia: «Fare riforme e smontarle prima ancora che realizzano gli effetti è negativo per tutto il Paese», ha detto ieri il numero uno di Confindustria.

Pure a livello politico il clima è rovente da settimane: nel mirino continuano a esserci soprattutto i «vuocher», i «buoni lavoro» da 10 euro lordi, che l’ultimo quesito della Cgil tende ad abrogare, cancellando, così, nei fatti, tutte le regole in vigore sul lavoro accessorio (utilizzato, correttamente, anche dalla stessa Cgil). Le opposizioni chiedono da mesi all’esecutivo di cancellare lo strumento; e anche dalla minoranza dem si continua ad alzare il tiro: «O si interviene immediatamente - ha ribadito Roberto Speranza -. O al referendum voteremo sì». Una prima apertura, a nome del Governo, è arrivata dal ministro, Giuliano Poletti, che durante l’informativa, ieri, al Senato, in cui si è scusato per la frase sui giovani che vanno a lavorare all’estero («alcuni è meglio non averli tra i piedi», ndr) ha evidenziato l’intenzione dell’esecutivo di revisionare lo strumento. «L’obiettivo - ha spiegato il titolare del Lavoro - è ricondurre i voucher alla funzione per i quali erano stati disegnati, ovvero dare copertura previdenziale e assicurativa alle attività occasionali, portandole fuori dal lavoro nero».

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