Contrattazione

Con il Jobs act più posti stabili

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di Claudio Tucci

Il Jobs act e la decontribuzione sulle assunzioni stabili un risultato lo hanno ottenuto: l’84% dell’aumento dell’occupazione dipendente registrato nel corso del 2015 (+288mila unità a dicembre su dicembre 2014) è avvenuto con contratti a tempo indeterminato. Un trend che è proseguito anche nei primi nove mesi del 2016: dei 210mila posti aggiuntivi “alle dipendenze” guadagnati, infatti, quasi due terzi sono stati di natura “permanente” (nel 2014 la quota arrivava a mala pena a un quarto).

Certo, la crisi e una crescita che fa fatica a decollare stanno pesando: l’aumento dei posti registrato dal 2014 si è concentrato quasi interamente nei servizi privati (+626mila unità al terzo trimestre 2016 rispetto al quarto trimestre 2013); nelle costruzioni invece non si è arrestato il processo di espulsione di manodopera (-506mila posti); mentre l’industria in senso stretto ha recuperato molto poco (42mila unità in più, ma con ancora 715mila occupati in meno).

La fotografia scattata ieri dal rapporto «Più lavoro in Italia: di che tipo e per chi?», realizzato dal Centro studi di Confindustria, ha acceso un faro sugli effetti delle recenti riforme: la ripresa del mercato occupazione dal 2014 ha interessato anche i giovani. Con la ripartenza della domanda, il tasso di occupazione dei 25-29enni è cresciuto di 3,8 punti percentuali da fine 2013 a metà 2016 (quello dei 15-24enni di 1,7 punti). E ciò si è potuto realizzare grazie pure alla decontribuzione: dei nuovi rapporti stabili che hanno coinvolto gli under30 circa i due terzi hanno usufruito dello sgravio sia nel 2015 sia nei primi nove mesi del 2016 (contro un’incidenza media di assunzioni agevolate pari rispettivamente al 57,7% e al 48,2%).

In totale, da inizio 2014 a metà 2016, l’occupazione «ha puntato verso l’alto», ha evidenziato il Csc (sono in risalita pure le Ula, le unità di lavoro equivalenti a tempo pieno, e il monte ore effettivamente lavorato). Nelle due recessioni (2007-2009 e 2011-2013) le aziende hanno tagliato organici, ma anche diminuito le ore lavorate (taglio degli straordinari e ricorso a part-time e Cig). Negli ultimi periodi, tuttavia, il ricorso alla cassa integrazione si è ridotto; ciò nonostante le ore lavorate procapite sono rimaste su un livello basso rispetto ai valori pre-crisi: nel terzo trimestre 2016 in Italia ogni occupato ha lavorato, in media, 1 ora e mezza in meno a settimana rispetto a fine 2007 (da un punto minimo di circa due ore in meno registrato a inizio 2013 e mantenuto fino a inizio 2015).

In questa fase, quindi, ha sottolineato il rapporto del Csc, il consolidarsi del recupero dell’attività comporterà, in prima battuta, un processo di riallungamento degli orari che, finchè non sarà esaurito, smorzerà la creazione di nuovi posti (una dinamica, del resto, già in atto, e che spiega, in parte, la frenata della crescita occupazionale evidenziata nella seconda parte del 2016 dagli ultimi dati Istat e Inps).

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