Conciliazione nulla se firmata sotto minaccia di un danno
Il verbale di conciliazione con cui un dipendente rinuncia a ogni potenziale rivendicazione nei confronti del datore di lavoro è nullo se viene sottoscritto sotto la minaccia di un danno ingiusto.
Con questo principio una recente sentenza del tribunale di Napoli (3729 del 23 maggio) rischia di dare un altro colpo alla stabilità degli accordi di conciliazione firmati tra aziende e dipendenti; stabilità già messa in discussione dalla sentenza del tribunale di Roma relativa all’oppugnabilità dei verbali sottoscritti in sede sindacale (si veda «Il Sole 24 Ore» del 17 maggio).
L’aspetto destabilizzante della sentenza non sta tanto nell’affermazione del principio – è abbastanza pacifico e condiviso – quanto nell’applicazione concreta che ne viene fatta. La vicenda riguarda alcune lavoratrici che, in occasione di una successione di imprese, hanno interrotto il rapporto di lavoro con l’azienda uscente e sono state assunte da quella subentrante. Prima dell’assunzione hanno firmato un verbale di conciliazione in sede “protetta” (davanti alla commissione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro), rinunciando a invocare l’applicazione dell’articolo 2112 del Codice civile nei loro confronti e a ogni potenziale rivendicazione contro il vecchio datore di lavoro.
Il tribunale di Napoli contesta la validità di questa intesa, in quanto sarebbe stata sottoscritta sotto la minaccia di un male ingiusto e notevole. La violenza morale, quale vizio invalidante del consenso, potrebbe manifestarsi sia in modo esplicito e diretto, sia in forma indiretta, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche a opera di un terzo.
Quale che sia la forma con la quale si manifesta, la minaccia – prosegue la sentenza – è motivo di annullabilità del contratto se è specificamente diretta a estorcere la firma dell’accordo, incidendo in modo decisivo sulla libertà di autodeterminazione del soggetto che, altrimenti, non avrebbe sottoscritto.
Nel caso in questione, la minaccia – secondo i giudici – sarebbe desumibile dalla comunicazione con la quale il datore di lavoro “uscente” avrebbe offerto alle dipendenti la stipula di un contratto di assunzione presso il soggetto subentrante a patto che fossero accolte determinate condizioni, tra cui la rinuncia a ogni possibile rivendicazione relativa al rapporto intercorso. Tale minaccia sarebbe stata ribadita al momento della firma dell’accordo, quando il vecchio datore di lavoro avrebbe espressamente dichiarato che la mancata sottoscrizione della conciliazione avrebbe comportato il licenziamento e la mancata offerta di una nuova occupazione.
Queste comunicazioni, secondo la sentenza, proverebbero che il consenso alla sottoscrizione del verbale di conciliazione sia stato indotto da una minaccia di danno ingiusto. Una lettura del genere non è affatto univoca - nello stesso tribunale di Napoli sussistono precedenti di segno opposto – e si presta a molte critiche, in quanto dilata in maniera eccessiva la nozione di “minaccia”.
Tuttavia, la semplice sussistenza di pronunce di questo tipo deve essere tenuta in conto dalle imprese e dai loro consulenti, che devono porre molta attenzione al contenuto delle comunicazioni inviate ai dipendenti al momento della negoziazione di un accordo transattivo.
Sentenza del tribunale di Napoli 3729 del 23 maggio