Rapporti di lavoro

Contratti a termine, l'aumento del contributo addizionale sui rinnovi

di Alberto Bosco

Integrando l'art. 2, co. 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92, che (con alcune deroghe) ha introdotto il contributo addizionale NASpI dell'1,40% sui contratti subordinati non a tempo indeterminato, l'art. 3, co. 2, del D.L. 12 luglio 2018, n. 87 (legge n. 96/2018), ne ha previsto l'aumento di 0,5 punti percentuali in occasione di ogni rinnovo del contratto a termine, anche in somministrazione.

In relazione a tale incremento progressivo di 0,5 punti percentuali – che si applica solo ai "rinnovi" dei contratti a termine (anche in somministrazione), effettuati dal 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del decreto dignità), e non anche alle "proroghe" – l'Inps (circolare 6 settembre 2019, n. 121) ha fornito le proprie indicazioni operative, precisando che esso riguarda ogni tipologia di contratto a termine cui si applica il contributo addizionale, inclusi quelli del settore marittimo, ed esclusi invece i contratti di lavoro domestico e quelli per le attività di insegnamento, ricerca scientifica o tecnologica, trasferimento di know-how e supporto, assistenza tecnica o coordinamento a innovazione (ove stipulati dai soggetti individuati).

Fermi i casi di esclusione dal versamento del contributo addizionale dell'1,40% e/o della relativa maggiorazione dello 0,50%, riprendendo le indicazioni fornite dal Ministero, l'Inps ha precisato che:
a) al primo rinnovo del contratto a termine la misura ordinaria dell'1,4% va incrementata dello 0,5%: così va determinata la nuova misura del contributo addizionale, cui aggiungere di nuovo l'incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo;
b) analogo criterio va utilizzato per i rinnovi successivi, con riguardo all'ultimo valore base che si è determinato per effetto delle maggiorazioni applicate in occasione di precedenti rinnovi;
c) quindi, a ogni rinnovo del contratto a termine o di somministrazione a termine, l'aumento di 0,5 punti si somma a quanto dovuto in precedenza a titolo di contributo addizionale.

Esempio – Se, dal 14 luglio 2018 (non si tiene conto dei rinnovi intervenuti fino al 13 luglio 2018), il contratto a termine è rinnovato 3 volte, il datore deve versare il contributo addizionale come segue:
a) contratto originario: solo 1,4%;
b) 1° rinnovo: 1,9% (1,4% + 0,5%);
c) 2° rinnovo: 2,4% (1,9% + 0,5%);
d) 3° rinnovo: 2,9% (2,4% + 0,5%), e così via.

L'articolo 2, co. 30, della legge 28 giugno 2012, n. 92, disciplina poi la restituzione del contributo addizionale in base a una di queste due situazioni:
a) trasformazione del contratto a tempo indeterminato: la restituzione del contributo addizionale opera dopo la fine del periodo di prova (che potrebbe anche non essere previsto dalle parti);
b) assunzione a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla cessazione del contratto a termine precedente: la restituzione del contributo addizionale opera dopo il periodo di prova (la misura da restituire si determina detraendo dalle mensilità di contribuzione addizionale spettanti al datore un numero di mensilità pari al periodo trascorso dalla fine del precedente rapporto a termine fino all'instaurazione del nuovo rapporto a tempo indeterminato).

Poiché l'aumento del contributo addizionale costituisce una parte della complessiva contribuzione addizionale ex art. 2, co. 28, legge n. 92/2012, se vi sono i presupposti di cui sopra, la misura del contributo addizionale da restituire al datore che trasforma il rapporto a termine o assume a tempo indeterminato include l'aumento del contributo addizionale ex art. 3, co. 2, del D.L. n. 87/2018. Ovviamente, in caso di più rinnovi, si recupera l'importo del contributo addizionale e del suo aumento relativi all'ultimo rinnovo del contratto stipulato prima della trasformazione o riassunzione a TI.

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