Adempimenti

Contributi omessi, si apre la chance della sanzione ridotta

Dal Dl Lavoro importi più lievi per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali: invece della sanzione da 10mila a 50mila euro quella da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso<br/>

di Stefano Rossi

Sanzioni più lievi per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali. Con il decreto Lavoro 48/2023 il Governo ha modificato l’articolo 2, comma 1-bis, del Dl 463/1983, sostituendo la sanzione da 10mila a 50mila euro con la sanzione da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (si veda Il Sole 24 Ore del 9 maggio).

In passato, l’Inps con il messaggio 3516 del 27 settembre 2022 aveva rideterminato il calcolo della sanzione in virtù della legge di depenalizzazione 8/2016, prevedendo la metà del minimo edittale per ogni anno in cui è stato commesso l’illecito. In pratica, per un omesso o tardivo versamento di 100 euro per ogni anno accertato, se la sanzione calcolata fosse stata inferiore a 10mila euro, avrebbe trovato applicazione tale ultimo importo, sul quale sarebbe stata applicata la riduzione alla metà, pari a 5mila euro.

In base alla nuova sanzione, invece, l’importo da versare andrà da un minimo di 150 a un massimo di 400 euro. È opportuno ricordare che la sanzione è applicabile solo nel caso di importi omessi non superiori a 10mila euro annui: oltre tale soglia scatterà la pena della reclusione fino a tre anni e la multa fino a 1.032 euro.

Inoltre, la sanzione amministrativa non è applicabile se il datore di lavoro provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione. Durante i tre mesi utili alla regolarizzazione il decorso della prescrizione rimane sospeso.

L’azienda non dovrà versare le ritenute se a seguito di conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate risulti un saldo attivo nella denuncia contributiva (circolare Inps 121/1994).

Più tempo per la notifica

Un’altra novità introdotta dal decreto Lavoro si riferisce alle violazioni commesse dal 1° gennaio 2023, per le quali le contestazioni devono essere notificate entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’annualità oggetto di violazione. Dunque, un termine per la notifica oltremodo dilatato rispetto ai novanta giorni previsto dalla legge 689/1981.

Le criticità da risolvere

Il decreto Lavoro lascia tuttavia sullo sfondo alcune criticità che potrebbero essere corrette in sede di conversione. Una prima questione attiene alle omissioni delle ritenute per il periodo dal 1° gennaio al 5 maggio 2023 (data di entrata in vigore del decreto Lavoro), per le quali resterebbe ferma la procedura di notifica ma la sanzione applicabile sarebbe quella vecchia.

Un’altra rilevante questione è quella dell’efficacia retroattiva della modifica favorevole al datore di lavoro. La Corte costituzionale con la sentenza 63/2019 ha affermato il principio di retroattività favorevole anche per le sanzioni amministrative punitive. Pertanto, la nuova sanzione sarebbe astrattamente applicabile anche per il passato. Tuttavia, nel nostro ordinamento, come osservato dalla stessa Consulta, vige il principio di irretroattività, per cui le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati.

Una possibile soluzione potrebbe rinvenirsi nell’articolo 3, comma 3 del Dlgs 472/1997, in materia di illeciti tributari, secondo cui se la legge in vigore al momento di commissione della violazione e le leggi successive stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione della sanzione sia divenuto definitivo. In questo modo, se non è stata emessa l’ordinanza di ingiunzione, l’organo di accertamento potrebbe rideterminare la sanzione amministrativa per l’intervenuta modifica più favorevole al datore di lavoro. Invece se il procedimento amministrativo è già divenuto definitivo alla data di entrata in vigore del decreto Lavoro (5 maggio 2023) resterà ferma la sanzione da 10mila a 50mila euro, alla quale non si può applicare la procedura di diffida ad adempiere in base all’articolo 13 del Dlgs 124/2004, ma solo la riduzione prevista dalla legge 689/1981.

GLI ESEMPI

1 Le ritenute di inizio 2023
Un’azienda omette di versare le ritenute previdenziali dei dipendenti per i mesi di gennaio e febbraio 2023 per un totale di 700 euro. Il datore di lavoro non versa entro tre mesi dalla notifica della violazione da parte dell’Inps.Il termine per la notifica della violazione dall’Inps è il 31 dicembre 2025 (entro la seconda annualità successiva). La sanzione applicabile sarebbe quella “vecchia”, ovvero 10mila euro, ridotta a 5mila euro, per il 2023.

2 Il pagamento entro tre mesi
Un’impresa omette di versare le ritenute previdenziali dei dipendenti per giugno, luglio e agosto 2023, per un totale di 4mila euro. L’Inps contesta il mancato versamento e il datore di lavoro versa entro tre mesi dalla notifica.
Non si applica la sanzione amministrativa: l’articolo 2, comma 1-bis, del Dlgs 463/1983 prevede una procedura di estinzione agevolata dell’illecito se le ritenute omesse sono versate entro tre mesi dalla notifica della violazione.

3 Ritenute omesse agosto 2023
Un’azienda turistica omette il pagamento delle ritenute previdenziali e assistenziali per il mese di agosto 2023 per un importo totale di 9mila euro. Entro tre mesi dalla contestazione il datore di lavoro non versa le ritenute omesse.
Il datore di lavoro incorrerà nella sanzione amministrativa poiché la soglia è inferiore a 10mila euro, altrimenti sarebbe scattata la sanzione penale. La sanzione andrà da 13.500 euro a 36mila euro per il 2023 (da una volta e mezzo a quattro volte l’importo omesso).

4 Il procedimento in corso
Un datore di lavoro omette di pagare le ritenute previdenziali per il mese di dicembre 2022 per 2mila euro. Entro tre mesi l’azienda non versa le ritenute omesse. Il procedimento al 5 maggio 2023 non si è concluso con un provvedimento definitivo.
La sanzione applicabile è quella da 10mila a 50mila euro per anno (5mila euro in base al messaggio Inps). In base alla sentenza 63/2019 della Consulta, la sanzione potrebbe essere quella del decreto Lavoro, da 3mila a 8mila euro, da ridurre in virtù della legge 689/1981.

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