Contribuzione alla Cassa forense e prescrizione
Per effetto dell'unificazione dei termini di prescrizione per il versamento di contribuzione previdenziale e assistenziale obbligatoria (articolo 3, commi 9 e 10 della legge 335/1995), attualmente anche la contribuzione dovuta alla Cassa forense si prescrive e non può più essere versata (o richiesta) decorsi i 5 anni, in generale, dalla scadenza del termine per adempiere.
La Cassazione ha confermato varie volte l'applicazione del “nuovo” termine di prescrizione quinquennale anche per le gestioni dei liberi professionisti (per esempio 5622/2006), con decorrenza 1° gennaio 1996. Come spesso accade in materia di prescrizione, nel tempo si è sviluppato un ampio contenzioso con riferimento alla corretta individuazione del termine iniziale di decorrenza, questione su cui torna la sentenza 27218/2018.
Qui la Cassazione ricorda una distinzione decisiva tra contribuzione nella misura minima, dovuta indipendentemente dal reddito, e contribuzione calcolata sul reddito prodotto. I due tipi di contribuzione hanno diverse decorrenze ai fini della prescrizione. La contribuzione minima non dipende dai redditi e dunque può essere richiesta e/o versata dalla data di scadenza del termine di legge previsto per il suo versamento, senza l'applicazione dell'articolo 19 della legge 576/1980, norma che individua il termine iniziale nella data di trasmissione alla Cassa, da parte dell'obbligato, della dichiarazione di cui agli articoli 17 (ammontare del reddito professionale dichiarato ai fini dell'Irpef per l'anno precedente) e 23 (analoga dichiarazione per l'Iva) della legge 576/1980 (termine che decorre anche in caso di dichiarazione erronea: Cassazione 26411/2013); dunque, dalla trasmissione dei dati reddituali.
Secondo la Cassazione, la contribuzione minima può essere pretesa «…in concomitanza con le annate in cui vi è già stata iscrizione dell'assicurato alla cassa», ed è da questo momento che inizia a decorrere il termine di prescrizione quinquennale. Questione completamente diversa è quella del decorso del termine prescrizionale riferito alla sanzione amministrativa pecuniaria ex articolo 17, comma 4, della legge 576/1980, che punisce l'omessa comunicazione alla Cassa forense dell'ammontare del reddito professionale entro trenta giorni dalla data prevista per la presentazione della dichiarazione dei redditi (secondo Cassazione 17258 del 2 luglio 2018, la natura amministrativa della sanzione impone l'applicazione dell'articolo 28 della legge 689/81 secondo cui il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla stessa legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione).
La sentenza 27218 si segnala, oltre che per la chiarezza della distinzione tra contribuzione in misura minima e in misura corrispondente al reddito ai fini della prescrizione, anche perché affronta in modo deciso la questione dei rapporti tra ente impositore (in questo caso la Cassa) e soggetto deputato alla riscossione del credito (nella fattispecie Equitalia). Al di là delle indicazioni specifiche dei soggetti, la soluzione data dalla Cassazione riveste una certa rilevanza perché descrive meglio i confini della responsabilità di coloro che, per legge, sono deputati alla riscossione di entrate e di contribuzione obbligatoria (e quindi anche oltre il caso specifico della Cassa forense: basti pensare al recupero dell'ordinaria contribuzione previdenziale obbligatoria Inps, affidato nel tempo al concessionario e oggi all'agenzia delle Entrate).
Il problema si pone quando il credito contributivo, affidato in riscossione al soggetto abilitato per legge, per effetto del decorso del termine prescrizionale non possa più essere recuperato. Secondo la Cassazione, l'affidamento in riscossione – per la Cassa secondo le modalità previste per le imposte dirette (articolo 18, comma 5, della legge 576/1080) – comporta per un verso la preposizione del soggetto concessionario quale adiectus solutionis causa (articolo 1188 del Codice civile) e per altro verso configura un vero e proprio mandato, con rappresentanza ex lege a compiere quanto è necessario per assicurare il pagamento, o in forma spontanea o attraverso i meccanismi coercitivi previsti dal codice di procedura civile.
Il mandatario deve svolgere il proprio incarico con diligenza e in funzione della conservazione del credito affidatogli e dunque rientra nei suoi compiti anche quello di salvaguardare il diritto rispetto a una possibile estinzione di questo per prescrizione. E questo può essere fatto anche attraverso la formazione di atti idonei a provocare l'effetto interruttivo del termine. Dunque, secondo la Cassazione, dopo l'affidamento in riscossione non è corretto affermare la permanenza della responsabilità dell'ente impositore ai fini della conservazione dell'esigibilità del credito, solo perché l'ente impositore rimane legittimato a formare e far recapitare atti interruttivi. Occorre semmai valutare caso per caso quale sia la situazione e quale il grado di ingerenza dell'ente sull'attività del concessionario, secondo criteri di apprezzamento che consentano eventualmente di ravvisare una responsabilità concorrente in capo all'ente mandante (articolo 1227 del Codice civile).