Contribuzione previdenziale nel rapporto di lavoro part-time
La Cassazione è tornata recentemente sulla questione del calcolo dell'anzianità contributiva ai fini del diritto a pensione per i lavoratori a tempo parziale verticale ciclico, con riferimento soprattutto alla questione della rilevanza, nello svolgimento del rapporto, dei periodi non lavorati per i quali non è corrisposta retribuzione e non è versata contribuzione.
La vicenda si intreccia con le note e difficili questioni relative all'individuazione del minimale contrattuale e contributivo nel rapporto di lavoro part-time, da interpretarsi in conformità con le stringenti indicazioni provenienti dalla normativa e giurisprudenza comunitaria.
In generale occorre premettere che nel rapporto di lavoro a tempo pieno la retribuzione da utilizzare, da parte del datore di lavoro, come base per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale (minimale contrattuale) non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione d'importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo (articolo 1, comma 1 del Dl 9 ottobre 1989, n. 338, convertito nella legge 7 dicembre 1989, n. 389). Nella determinazione della retribuzione minima ai fini contributivi si deve tenere conto anche dei minimale di retribuzione giornaliera stabilito dalla legge (cosiddetto minimo dei minimi), che ai sensi di quanto disposto dall'art. 7, co 1, secondo periodo, del Dl n. 463/1983, convertito nella legge n. 638/1983 non può essere inferiore al 9,50% dell'importo del trattamento minimo mensile di pensione a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti in vigore al 1° gennaio di ciascun anno.
Anche con riferimento al rapporto di lavoro a tempo parziale trova applicazione, in materia di minimale ai fini contributivi, l'art. 1, co. 1, del Dl n. 338/1989 citato. La retribuzione minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale il minimale giornaliero di cui all'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, e dividendo l'importo così ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per i lavoratori a tempo pieno (art. 11 Dlgs n. 81/2015). Si moltiplica cioè il minimale contributivo giornaliero (47,68 euro) per il numero di giornate di lavoro ad orario normale e si divide il prodotto ottenuto per il numero delle ore settimanali previste per i lavoratori a tempo pieno, nel contratto applicato dall'azienda (di solito 40 ore) Per cui euro 47,68 x 6 /40 = euro 7,15 (cfr. circ. Inps n. 11/2016). Con riferimento, invece, al limite di retribuzione per l'accredito dei contributi obbligatori e figurativi (40% del trattamento minimo di pensione), se il rapporto di lavoro è a tempo parziale, la giurisprudenza (cfr. Cass. n. 9039/2012) non ritiene applicabile in via estensiva il meccanismo adeguativo previsto dall'art. 1, comma 4, del Dl n. 338/1989 (poi riproposto senza mutazioni, a seguito di varie vicende normative, fino nell'art. 11, comma 1, del Dlgs n. 81/2015). La previsione di un minimo di contribuzione settimanale per consentire l'accredito risponde infatti all'esigenza di stabilire una soglia di accesso alle prestazioni previdenziali.
Il principio generale, di derivazione comunitaria, è che il lavoratore a tempo parziale non può ricevere un tutela meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento solo per il fatto di aver optato per un lavoro non a tempo pieno. Nell'ambito del rapporto a tempo parziale cosiddetto ciclico, che si realizza cioè attraverso la concentrazione dell'attività in alcune settimane del mese o per alcuni mesi dell'anno, alternati a periodi di non attività, la questione affrontata dalla giurisprudenza riguarda sostanzialmente il calcolo dell'anzianità contributiva, a fronte di un'attività lavorativa svolta per frazioni di anno, con mancato versamento di retribuzione e di contribuzione per i periodi dell'anno non lavorati. Le norme interne, e in particolare le regole già viste in punto di accredito di contribuzione nel lavoro a tempo parziale (art. 7, comma 1, del Dl n. 463/1983), impongono l'accredito di un numero di contributi settimanali nel corso dell'anno solare, ai fini delle prestazioni pensionistiche, pari a quello delle settimane dell'anno stesso retribuite e la necessità comunque che risulti erogata, dovuta o accreditata, figurativamente per ognuna di tali settimane, una retribuzione non inferiore al 40% dell'importo del trattamento minimo mensile di pensione. Ebbene, tali regole, nel loro significato letterale, inducono a ritenere non computabili ai fini dell'anzianità contributiva i periodi di non lavoro nel part time ciclico.
Tuttavia, la Cassazione (cfr. n. 8565/2016 e, da ultimo, n. 21207/2016 e n. 21376/2016) ritiene che tali disposizioni non abbiano alcuna interferenza con la questione del calcolo dell'anzianità contributiva. Dal momento che nel part time verticale ciclico il lavoro perdura anche nei periodi di sosta (non è prevista in tali periodi l'indennità per la disoccupazione), la contribuzione ottenuta, con le garanzie dell'art. 7 cit., deve essere riproporzionata nell'arco dell'intero anno cui i contributi si riferiscono. In altre parole, anche i periodi di interruzione dell'attività lavorativa in qualche modo giovano ai fini dell'anzianità contributiva (i periodi di pausa non costituiscono disoccupazione involontaria). Ritenere i periodi di non lavoro neutri ai fini dell'anzianità porterebbe ad un’ingiusta discriminazione del lavoratore part- time rispetto al lavoratore con rapporto a tempo pieno, anche solo per l'impossibilità, nel primo caso, di applicare durante i periodi di non lavoro gli istituti a tutela del lavoratore (indennità di disoccupazione, indennità di malattia, iscrizione nelle liste di collocamento). Oltretutto, la disparità di trattamento si produrrebbe anche con riferimento ai lavoratori a part-time orizzontale, a parità di orario, considerando il fatto che ai fini dell'accredito del contributo settimanale per questi lavoratori le settimane da accreditare non subiscono alcuna riduzione per effetto del part time, in quanto la riduzione dell'orario ha rilevanza solo agli effetti del calcolo della misura della pensione (cfr. cass. sez. lav. n. 21376/2016).