Crediti di lavoro: il riparto di competenze tra giudice del lavoro e giudice della prevenzione penale
La sentenza in commento offre lo spunto per approfondire il tema del riparto di competenza tra il giudice del lavoro e il giudice della prevenzione
Tratto da Modulo24 Contenzioso Lavoro
La sentenza: il riparto tra giudice del lavoro e giudice della prevenzione penale e il criterio temporale
La Corte d'Appello di Messina con la sentenza 23 gennaio 2023, n. 35, offre lo spunto per approfondire il tema del riparto di competenza tra il giudice del lavoro e il giudice della prevenzione nei casi di imprese i cui beni siano soggetti a sequestro o confisca in prevenzione ai sensi del codice delle leggi antimafia (d.lgs. 159/2011, d'ora in poi c.l.a.).
La vicenda riguarda una lavoratrice che aveva prestato la sua attività presso la società N. E. s.r.l. da gennaio 2010 ad agosto 2012 con contratto di collaborazione coordinata e continuativa; chiedeva il riconoscimento della natura subordinata del rapporto ed il pagamento delle differenze retributive maturate.
Costituendosi in giudizio la società eccepiva preliminarmente l'improcedibilità della domanda evidenziando di essere stata assoggettata prima a sequestro e poi a confisca e che pertanto, ai sensi delle disposizioni del c.l.a., il credito avrebbe dovuto essere accertato dal giudice della prevenzione.
Il Tribunale accoglieva la domanda, rigettando l'eccezione di improcedibilità sul rilievo che la richiesta di applicazione del provvedimento cautelare nei confronti di N. E. era già pendente all'entrata in vigore del c.l.a., le cui norme, pertanto, non potevano trovare applicazione.
Impugnava la decisione la società, sostenendo l'irrilevanza del dato temporale valorizzato dal Giudice di prime cure: la legge finanziaria 2013 (l. 228/2012, articolo 1, commi 194 - 206) era intervenuta appunto su quei casi in cui il c.l.a. non è ratione temporis applicabile, stabilendo che l'accertamento dei diritti dei terzi dovesse in ogni caso aver luogo avanti il giudice della prevenzione penale; rilevava altresì che la regola si applica pacificamente anche ai crediti di lavoro, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 94/2015.
La Corte d'Appello di Messina ha rigettato l'eccezione di improcedibilità, poiché la regola posta dal c.l.a. riguarda esclusivamente i crediti aventi data certa anteriore al provvedimento cautelare penale (rectius all'instaurazione del procedimento con cui lo si richiede).
L'articolo 52 del c.l.a. prevede infatti che "La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro», purché ricorrano alcune condizioni, tra cui "che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di aver ignorato in buona fede il nesso di strumentalità".
Per l'accertamento e la soddisfazione dei crediti in esame gli articolo 52 ss. del c.l.a. prevedono una speciale procedura concorsuale semplificata
Ratio della normativa in esame è comporre l'interesse dello Stato ad apprendere i beni del soggetto sottoposto a misura di prevenzione con quelli patrimoniali vantati nei confronti del medesimo soggetto (proposto) da terzi, che non possano trovare soddisfazione su altri beni di sua proprietà; al contempo, la valutazione in sede di prevenzione dei crediti consente di escludere quelli che siano strumentali all'attività illecita o a quella che ne costituisca il frutto o il reimpiego.
Per i crediti sorti successivamente all'adozione del provvedimento di prevenzione, invece, non si pone una questione di tutela dei terzi, perché se i beni che ne sono oggetto vengono definitivamente sottratti alla loro garanzia, speciale o generale, è anche vero che su quei beni i creditori non potevano fare affidamento ai fini della soddisfazione del loro credito (né tanto meno ottenere garanzie o prelazioni, inibite dal sequestro).
La stessa delimitazione temporale del novero dei crediti che possono trovare soddisfazione esclusivamente nell'ambito della procedura concorsuale avanti il giudice della prevenzione (e con i relativi limiti) si rinviene nelle norme poste dalla l. 228/2012 per le fattispecie dalla medesima disciplinate.
Nel caso di specie, i crediti azionati erano riferiti ad un periodo successivo all'istanza di sequestro.
La sentenza in esame contiene ulteriori considerazioni sul rapporto temporale tra insorgenza dei crediti e loro assoggettabilità alla procedura concorsuale.
In particolare, la Corte messinese afferma di condividere il ragionamento sulla base del quale il Giudice di prime cure aveva rigettato l'eccezione di improcedibilità: il c.l.a. delimita l'ambito applicativo della procedura concorsuale ai procedimenti in prevenzione successivi alla sua entrata in vigore, intervenuta il 13.10.2011; nel caso di specie, a quella data il procedimento nei confronti della N. E. era già pendente.
Se questa considerazione è ineccepibile (ma non risolutiva), il ragionamento svolto nella sentenza in commento diviene meno perspicuo allorquando si confronta con le disposizioni della l. 228/2012, che prevede una procedura concorsuale per molti versi analoga a quella disciplinata dal c.l.a. da applicarsi per i procedimenti di prevenzione non soggetti al c.l.a. medesimo.
La Corte risolve anche questo profilo sul piano temporale, rilevando che la l. 228/2012 è entrata in vigore l'1.1.12013, ovvero dopo la maturazione dei crediti oggetto di causa. Il rilievo non convince: le norme in esame hanno natura processuale, di modo che (in assenza di una disciplina transitoria analoga a quella contenuta nel c.l.a.: si v. il comma 199, articolo 1, l. 228/2012) le questioni intertemporali devono trovare soluzione mediante applicazione del principio tempus regit actum.
E l'actum da tenere in considerazione è naturalmente l'avvio del procedimento di prevenzione, che è quello che determina una serie di effetti, tra cui, per quanto interessa, l'applicabilità della procedura concorsuale speciale.
Ciò non toglie che la decisione adottata dalla Corte sia comunque corretta, restando dirimente l'anteriorità della procedura di prevenzione rispetto alla data di maturazione del credito.
Il concorso dei creditori sui beni assoggettati a confisca o sequestro
Tornando alla disciplina dettata dal c.l.a., è interessante analizzare brevemente la procedura ivi delineata, le cui analogie con quella di accertamento dei crediti in sede concorsuale sono di tutta evidenzia.
Anche nel presupposto le due procedure sono prossime: ma, mentre la liquidazione giudiziale prende le mosse dall'accertamento dello stato di insolvenza, che è oggetto della sentenza (già dichiarativa di fallimento e oggi) di apertura della liquidazione, la procedura del c.l.a. non prevede un momento accertativo di tal fatta.
Vero è che quando oggetto della prevenzione sia l'intera azienda - vale a dire il complesso dei beni che rappresentano la garanzia generale dei crediti - i creditori restano automaticamente privi di beni sui quali poter soddisfare il loro credito, sicché l'insolvenza è quasi in re ipsa; al di fuori di questa, tutt'altro che residuale, ipotesi l'indagine sull'insolvenza è formulata in termini di eccezione, per cui i terzi creditori non accedono al concorso sui beni staggiti quando esistano altri beni su cui possano soddisfarsi.
Come esposto, competente per la procedura è il giudice della prevenzione, a sottolineatura della preminenza dell'interesse pubblico all'apprensione dei beni che sono strumento o provento dell'attività illecita e alla loro valorizzazione economica; tanto marcata è detta preminenza che una cornice sistematica di salvaguardia (comunque parziale) dei diritti dei terzi è intervenuta soltanto con il c.l.a.: prima della sua entrata in vigore essi erano sostanzialmente destinati a soccombere completamente di fronte all'interesse dello Stato, e la loro protezione era limitata a piccoli correttivi di matrice pretoria. Anche nel mutato quadro odierno la soddisfazione dei creditori rappresenta in ogni caso un valore cadetto: ai sensi dell'articolo 53 c.l.a. essa è contenuta nel limite del 60 % del valore dei beni sequestrati o confiscati, o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita degli stessi, al netto delle spese di procedura.
Il procedimento è estremamente semplificato; pure, come ha evidenziato la Corte costituzionale (94/2015), esso (coerentemente) si articola "secondo cadenze mutuate in larga misura dai corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare".
Considerazioni conclusive: il riparto tra giudice del lavoro e giudice della prevenzione in ragione del tipo di domanda giudiziale
Queste brevi osservazioni permettono di affrontare con maggiore consapevolezza la questione della deroga al rito del lavoro per la cognizione dei diritti di credito vantati nei confronti di aziende i cui beni siano in tutto o in parte soggetti a provvedimento di prevenzione e che siano sorti anteriormente all'avvio del relativo procedimento.
Il fatto che la struttura della procedura concorsuale prevista dal c.l.a. ricalchi quella della liquidazione giudiziale rende perfettamente coerente la sua prevalenza su tutti gli altri riti, incluso quello, pure dotato di una specialità privilegiata, del lavoro.
Affinché la procedura concorsuale sia in grado di raggiungere efficacemente il suo scopo, la sua vis adtractiva non può tollerare deroghe di sorta; ed in effetti lo stesso rito del lavoro, che ai sensi degli articolo 40 comma 3, codice procedura civile prevale sul rito ordinario o su altri riti speciali in ipotesi di cause connesse (si pensi alla giurisprudenza in tema di impugnazione della delibera di espulsione del socio di cooperativa: per tutte Cassazione 24917/2014), soccombe di fronte alla liquidazione giudiziale e alle altre procedure di cui al codice della crisi d'impresa.
Come per la liquidazione giudiziale si pone naturalmente il problema delle cause di lavoro che non hanno ad oggetto crediti bensì domande costitutive o di accertamento, come ad esempio la domanda di reintegra del lavoratore ai sensi dell'articolo 18 st. lav. o dell'articolo 2 o 3 comma 2 d.lgs. 23/2015: in queste fattispecie, come noto, secondo giurisprudenza più che consolidata il giudice del lavoro conserva la propria competenza, salvo che naturalmente ogni domanda risarcitoria scaturente dalla pronuncia costitutiva dovrà essere fatta valere in ambito concorsuale (v., con riguardo al fallimento, da ultimo Cassazione 2964/2021).
La stessa soluzione appare obbligata anche in fattispecie di concorso avanti il giudice della prevenzione, tanto nei casi di pronunce costitutive aventi ad oggetto l'annullamento del licenziamento, quanto nei casi di pronuncia di accertamento relative allo status del lavoratore (ad es. nullità di un trasferimento di ramo d'azienda, interposizione illecita, nullità del termine, ecc.), poiché il giudice del lavoro rimane sempre "giudice del rapporto" (Cassazione 1646/2018).