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Crisi d’impresa: la Naspi solo con la fine del rapporto di lavoro

In sede di approvazione definitiva del Codice, non si è scelto di erogare l’indennità di disoccupazione dall’apertura della liquidazione giudiziale

di Angelo Zambelli

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (Dlgs 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022), pur tentando di operare un bilanciamento tra gli interessi contrapposti dei creditori (volti a una rapida liquidazione dell'attivo) e dei lavoratori (finalizzati alla conservazione del posto) nell'ambito della nuova liquidazione giudiziale (sostitutiva del fallimento), non ha raggiunto lo scopo.

Punto di partenza nella materia - in continuità con l'articolo 72 della legge fallimentare – è la previsione della sospensione dei rapporti di lavoro subordinato in atto all'apertura della liquidazione giudiziale, escludendo che ciò possa costituire di per sé motivo di licenziamento.

I rapporti di lavoro così sospesi possono andare incontro a diversi esiti: il curatore, «senza indugio»: può decidere di subentrarvi; può esercitare il recesso, se del caso ricorrendo a una particolare procedura di licenziamento collettivo; in presenza di certe condizioni, opera la risoluzione di diritto dei rapporti di lavoro; nel frattempo, il lavoratore sospeso può sempre dimettersi per giusta causa.

Appare chiaro che, nell'ambito di una vicenda per lo più pilotata dalle scelte del curatore (che è signore della procedura concorsuale e garante dell'interesse dei creditori), la legge si preoccupa di dettare una disciplina residuale, introducendo un'ipotesi – che costituisce un unicum nel diritto del lavoro – di risoluzione di diritto del rapporto di lavoro o, ancora, attribuendo al lavoratore (sospeso senza retribuzione) la possibilità di dimettersi per giusta causa.

Tra le opzioni sopra esaminate, quelle che dipendono dall'impulso del curatore devono essere esercitate entro un massimo di quattro mesi (salvo proroga fino a ulteriori otto mesi), decorsi i quali, nell'inerzia del curatore, i rapporti di lavoro si intendono risolti di diritto.

Per ciò che concerne le altre due ipotesi menzionate, basti rilevare, in primo luogo, che la nuova procedura di licenziamento collettivo è improntata a un'esigenza di celerità ed è espressamente derogatoria rispetto a quella ordinaria prevista dalla legge 223/1991. Secondariamente, le dimissioni che dovessero essere rese dal lavoratore a partire dall'apertura della liquidazione giudiziale (inciso quest'ultimo introdotto dal decreto correttivo Dlgs 147/2020) si intendono rassegnate per giusta causa, ovvero con diritto all'indennità sostitutiva del preavviso.

Nel contesto della disciplina qui in esame un ruolo fondamentale è quello ricoperto dalla Naspi, che viene accordata in tutti i casi di cessazione del rapporto lavorativo poc'anzi esaminati (in tema si vedano le indicazioni fornite dall'Inps con la circolare 21 del 10 febbraio 2023).

Sul punto, peraltro, non può tacersi che l'attuale versione dell'articolo 190 del Dlgs 14/2019, è derivata dalla “bocciatura” della NaspiLG in sede di approvazione definitiva del Codice della crisi d'impresa. Tale ultimo istituto – che prevedeva l'equiparazione dei casi di sospensione dal lavoro a quelli di perdita involontaria dell'occupazione – costituiva la vera svolta della nuova disciplina ed era un reale strumento di tutela dei lavoratori, consentendo loro di percepire la Naspi sin dalla data di apertura della liquidazione giudiziale e conservando medio tempore il posto di lavoro.

In tal modo il curatore avrebbe avuto la possibilità di gestire il destino di un'azienda, sia pur decotta, ma sostanzialmente intatta nella sua capacità produttiva, senza alcun aggravio economico. Il venir meno della NaspiLG appare un'opportunità persa per realizzare un possibile punto di incontro tra interessi dei creditori e tutela dei lavoratori nelle procedure concorsuali

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