Crisi d’impresa, rapporti di lavoro sospesi per 8 mesi
Lo schema di decreto legislativo di riforma della crisi d’impresa sarà portato in consiglio dei ministri questa settimana, in vista della scadenza della delega. Il testo disciplina per la prima volta in modo organico la sorte dei rapporti di lavoro subordinato in caso di insolvenza dell’imprenditore. Lo fa recependo orientamenti della giurisprudenza, dando finalmente ancoraggio normativo alla soluzione della sospensione dei rapporti all’apertura della procedura di liquidazione, con facoltà per il curatore di subentrarvi entro 4 mesi, che se non esercitata determina la risoluzione di diritto del contratto di lavoro.
La possibilità della risoluzione di diritto, grande novità della riforma, è doverosamente coordinata con le norme in tema di licenziamenti collettivi. La durata della sospensione è prorogabile sino a un massimo di 8 mesi, quando esiste una prospettiva di ripresa dell’attività o di trasferimento di azienda. La soluzione adottata, opportunamente corredata dalla previsione di un apposito ammortizzatore sociale per il periodo di sospensione (Naspilg), che dopo l’abrogazione dell’articolo 3 legge 223/1991 mancava, risponde alla necessità di assicurare ai lavoratori una rete di protezione mentre si esplorano le possibilità di ricollocare gli attivi dell’impresa in crisi.
Al termine della proroga, il rapporto con il lavoratore tenuto in stand-by “prolungato” al quale poi il curatore non ha comunicato il recesso o il subentro, si intende risolto di diritto, ma al dipendente spetta un’indennità in prededuzione modulata sullo schema delle tutele crescenti, che può raggiungere – a seconda dell’anzianità del lavoratore – un massimo di otto mensilità. Inoltre, il lavoratore “sospeso” che si dimette non dovrà provare la giusta causa del recesso, perché questa viene riconosciuta automaticamente con effetto dalla data di apertura della procedura.
Oltre a interventi puntuali sulla sorte dei rapporti di lavoro in caso di avvio della liquidazione giudiziale, lo schema di Dlgs prevede una serie di norme di coordinamento con la disciplina giuslavoristica in materia di licenziamenti collettivi, trasferimenti di azienda e fondo di garanzia Inps. Quanto ai primi, la violazione della procedura nel caso di liquidazione giudiziale comporterà le medesime conseguenze previste dalla legge 223/1991 o dal Jobs act, a seconda che il rapporto sia sorto prima o dopo il 7 marzo 2015: reintegrazione nel posto di lavoro nel primo caso, indennità a tutele crescenti nel secondo.
Come previsto dalla legge delega, la disciplina è stata armonizzata con la normativa europea in tema di mantenimento dei diritti dei lavoratori nei trasferimenti di azienda, il mancato rispetto della quale in passato aveva comportato per il nostro paese la condanna della Corte di giustizia Ue. In particolare, è stato chiarito che nei casi di continuità aziendale si possono modificare le condizioni contrattuali (come mansioni, qualifica, orario), ma non si può derogare alla norma della conservazione del posto per tutti gli addetti al ramo trasferito.