Cuneo fiscale 10 punti sopra la mediaUe
Le tasse sulle imprese che pesano il 25% in più della media Ue, il cuneo fiscale che è 10 punti più pesante rispetto ai nostri partner europei, i servizi pubblici sempre più rari ma più costosi, la spesa per le pensioni da tenere stretta al guinzaglio, quella per la salute che migliora i conti ma peggiora le cure. La Corte dei conti certifica che la ripresina c’è, che è «meno fragile e più qualitativa» e che per l’Italia si può cominciare a parlare, ma con cautela, di una «inversione di marcia». Ma sicuramente non basta, aggiunge nel «Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica» presentato ieri al Senato nelle sale di Palazzo Giustiniani. «Finalmente si è usciti da una fase di recessione protrattasi per otto anni», afferma il presidente della magistratura contabile, Arturo Martucci di Scarfizzi. Senza però rinunciare nell’ampio rapporto che in sostanza ormai anticipa la rendicontazione del bilancio dello Stato, a segnalare le zone d’ombra costanti e le vaste aree di debolezza che continuano a caratterizzare in negativo il sistema-Italia.
«Nonostante le incertezze iniziali , l’andamento dell’economia sembrerebbe aver segnato un’inversione di marcia », scrive non a caso al condizionale la Corte dei conti. È appunto quel segnale atteso «verso un’espansione meno fragile e più qualitativa» che lascia intravedere una prima lucina di uscita da otto anni di recessione. Quelli che stanno arrivando anche nel 2017 dall’export, dal «combinato disposto» degli incentivi agli investimenti, e dal traino del recupero del saggio di accumulazione, grazie anche a una «più generale ripresa del ciclo internazionale ed europeo», come del resto ha appena stimato la Bce.
Che poi per l’Italia si possa davvero parlare di uscita dal tunnel, sarebbe peccare, e parecchio, di ottimismo. Un azzardo, con quel macigno del debito pubblico secondo in Europa soltanto alla Grecia. Anche perché il contesto fotografato dalla Corte dei conti, ci consegna un Paese ancora alle prese con problemi strutturali e di contesto difficili da scalfire. Al punto che neppure le privatizzazioni, per quanto necessarie, «difficilmente potranno essere determinanti nel breve-medio periodo».
Intanto il peso del carico fiscale è ormai insostenibile e non accenna a perdere peso, mette a nudo la magistratura contabile. La pressione fiscale, che al 42,9% è tra le più alte d’Europa, è all’apice per le imprese: cosicché il total tax rate stimato per un’impresa di medie dimensioni «testimonia di un carico fiscale complessivo (societario, contributivo, per tasse e imposte dirette) che penalizza l’operatore italiano in misura (64,8%) eccedente quasi 25 punti l’onere per l’omologo imprenditore dell'area Ue/Efta». Mentre i costi di adempimento degli obblighi tributari che il medio-piccolo imprenditore italiano deve affrontare ammontano, stima la Corte, in 269 ore lavorative, il 55% in più di in concorrente europeo. E ancora ecco la bastonata del cuneo fiscale, fattore storico di freno per l’economia, che in Italia è «di ben 10 punti» superiore alla media Ue, con un 49% che viene prelevato «a titolo di contributi e di imposte». Una zavorra secca per lavoratori e imprese. Per non dire dei «limiti e dispersioni» del sistema fiscale. E del fatto che l’eccessiva pressione fiscale si traduce in un freno poderoso al contrasto dell’economia sommersa e a quella dell’evasione. Evasione da combattere con tutti i mezzi, ma con la massima cautela da avere, avvisa la Corte dei conti, nel ricorso ai proventi derivanti dal recupero delle somme sottratte all’erario.
Ci sarebbe poi la mezza (se non più)disfatta dei servizi pubblici. Nel trasporto locale dal 2008 al 2014 c’è stato un calo del 7%, ma del 15% al Sud; è calata del 5% l’efficienza del servizio idrico; i servizi sociali sotto la grande crisi hanno subito la stessa sorte con i sindaci in grande affanno, e le famiglie di più. Nel complesso la spesa per i servizi è stata di 51 mld (nel 2014) con proventi per 15,5 mld.
Effetto crisi che ha colpito anche la sanità pubblica. Dove i conti sono migliorati, con perdite scese da 944 a 847 mln nel 2016, e un calo vistoso per le regioni in piano di rientro. Mentre l’Italia continua a finanziare assai meno dei nostri principali partner Ue con una spesa pro-capite tra le più basse. Il risultato è la riduzione dei servizi, tanto più dove asl e ospedali faticano di più, da Roma alla Sicilia. Anche per le minori tecnologie a disposizione. E per i segnali di sofferenza numerica e lavorativa del personale sanitario, la prima spia delle difficoltà nel “fare sanità”. «La politica di solo rigore non è sufficiente»,il commento amaro del presidente del Senato,Pietro Grasso.