Contenzioso

Da agente a dipendente: il Fisco deve dar prova del rapporto di lavoro

L’ufficio deve dimostrare il diverso inquadramento, pena l’invalidità dell’avviso

immagine non disponibile

di Emanuele Mugnaini

La riqualificazione del rapporto di agenzia in rapporto di lavoro dipendente deve essere adeguatamente provata dall’ufficio, a pena di invalidità dell’avviso di accertamento. Così si è espressa la Cgt di I grado di Ravenna con la sentenza 391/1/2022 (presidente Gilotta, relatore D’Aniello).

Un agente di commercio aveva proposto ricorso contro l’avviso di accertamento mediante il quale le Entrate avevano riqualificato i compensi percepiti da reddito d’impresa a reddito da lavoro dipendente, con il conseguente aggravio in termini di maggiore Irpef e relative addizionali.

Il controllo scaturiva dall’attività accertativa realizzata nei confronti di un soggetto terzo, autosalone, con il quale il ricorrente aveva sottoscritto un accordo riguardante l’attività di promozione di contratti di acquisto con la clientela. I verificatori avevano ritenuto che la natura del rapporto instaurato fosse da inquadrare nell’ambito del lavoro dipendente e non quale attività di agente procacciatore d’affari.

Il ricorrente eccepiva, in primis, come nell’atto impugnato non fossero esplicitati gli elementi posti a fondamento della riqualificazione. E inoltre obiettava la mancata allegazione del Pvc emesso a carico del terzo.

Il collegio ravennate, nell’accogliere il ricorso, ha innanzitutto rilevato come l’attività di venditore possa svolgersi, indifferentemente, sotto diverse forme giuridiche, risultando decisive le concrete modalità di svolgimento della stessa. Per poter affermare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, chiosano i giudici, occorre dimostrare la sussistenza degli elementi che lo caratterizzano, indicati all’articolo 2094 del Codice civile. La norma in questione identifica, quale prestatore di lavoro subordinato, il soggetto sottoposto al potere direttivo, al potere di controllo e al potere disciplinare dell’imprenditore. Poteri che, nel caso di specie, a parere della Corte, non potevano dirsi provati dal solo fatto che il ricorrente disponesse di una postazione fissa all’interno dell’autosalone e dalla facoltà di ingerenza da parte della società proprietaria di quest’ultimo. L’ufficio, in conclusione, non aveva assolto all’onere probatorio su di esso gravante al fine di confutare la tesi accertativa, basata su elementi contradditori e non esaustivi.

L’utilizzo della locuzione “elementi contraddittori” rimanda alla recente introduzione del comma 5-bis in seno all’articolo 7 del Dlgs 546/92. La norma, al netto dell’obbligo motivazionale a cui l’accertamento soggiace, “rafforzando” le disposizioni del Codice civile, prevede l’obbligo, per l’amministrazione, di provare in giudizio le violazioni contestate, e il corrispondente obbligo, in capo al giudice, di annullare l’atto impositivo qualora le prove della sua fondatezza manchino, siano contraddittorie o insufficienti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©