Da Bergamo linee guida sul welfare
Aprire il cassetto del welfare significa trovare dentro una tale molteplicità di beni e servizi che tanto nelle imprese strutturate quanto soprattutto in quelle più piccole c’è una forte richiesta di modelli, orientamento, indicazioni operative concrete. Adesso che la coda della crisi sembra alle spalle, la contrattazione nazionale in quasi tutti i settori è archiviata e le imprese si stanno concentrando sul secondo livello, Confindustria Bergamo lancia le sue linee guida sul welfare aziendale. Nascono da un doppio canale di indagine, settoriale, con il coinvolgimento di 9 comparti, e aziendale, con il coinvolgimento di 20 imprese e sono una risposta che arriva dal territorio alle richieste delle imprese.
Il percorso proposto si articola in 5 fasi che comprendono un’analisi preventiva, la definizione del valore destinabile, la scelta dello strumento, l’articolazione dle piano di welfare e poi per finire la definizione di azioni correlate. Al termine si arriva a una formula di welfare aziendale specifica e funzionale a stimolare la crescita aziendale. Il giuslavorista Michele Tiraboschi, ieri nel convegno organizzato da Confindustria Bergamo per presentare il progetto ha spiegato che «sul welfare aziendale, come spesso capita sui temi alla moda, si sta in superficie. C’ un grande dinamismo in chiave pro business però poi non dimentichiamo che il welfare non può essere ridotto ai buoni benzina. Si tratta di qualcosa di molto più ampio». L’iniziativa di Bergamo ha la peculiarità «di mettere al centro la rappresentanza. È aziendale ma non è una questione di una singola azienda, ma di un sistema e di un territorio dove è stata fatta una grande operazione per ricomporrre una serie di iniziative nate nelle aziende», spiega Tiraboschi. Senza trascurare che «il welfare privato è una grande occasione per ripensare lo scambio lavoro retribuzione in una fase storica in cui assistiamo alla crisi del welfare pubblico e in cui il mondo intero ripensa a come si organizza l’impresa», aggiunge il giuslavorista.
Così a Bergamo si è sviluppato un approccio nuovo al welfare. «Abbiamo cercato di trovare soluzioni ma non partendo da generiche valutazioni sul costo del lavoro, la fidelizzazione dei lavoratori o l’incremento della produttività - spiega Stefano Malandrini dell’area lavoro e welfare di Confindustria Bergamo - ma da specifiche esigenze aziendali di intervento su criticità organizzative o gestionali, in modo da circoscrivere e orientare il welfare. Questo significa individuare alcune problematiche come possono essere l’assenteismo anomalo, la scarsa partecipazione dei lavoratori alla formazione, i tempi di lavoro di alcuni reparti e poi ristrutturare l’offerta». Il piano proposto ha tra le sue peculiarità la flessibilità, tant’è che valorizza le clausole di reversibilità o le sperimentazioni, prevede che si proceda con accordo sindacale o con accordo e regolamento e punta a evitare le intese individuali. Lo spostamento sui temi del welfare avviene «adesso che si sta riducendo la tensione sui costi che era molto sentita durante la crisi e il rinnovo dei contratti. Noi prevediamo che da quest’anno ci sia un forte ricorso al welfare - osserva Malandrini - e abbiamo cercato di anticipare le domande delle imprese e di utilizzare al meglio gli strumenti». Un contributo arriva oltre che dagli operatori di settore, anche dal mondo bancario dove, tra le altre, si segnala la proposta di Ubi banca per il welfare territoriale (si veda il Sole 24 ore del 23 marzo).