Dagli avvocati agli architetti la via stretta per l’Europa
Esercitare la professione in pianta stabile in un altro Paese europeo? È un’opzione a portata di mano, ma con regole diverse in base alla categoria di appartenenza.
Secondo la banca dati della Commissione Ue, dal 1997 al 2017 sono stati circa 600mila i professionisti globetrotter dei 28 Paesi: tra loro 35.729 italiani. Le mete più gettonate sono state finora il Regno Unito (scelto nel 41% dei casi) e la Svizzera (21%), seguiti a distanza da Francia, Belgio, Spagna e Germania. In testa ci sono i medici (circa 12 mila) e gli infermieri di primo e secondo livello (8.700); ma i Paesi Ue vicini e lontani esercitano appeal anche su farmacisti, ingegneri e avvocati. E sugli architetti, che incidono per il 19% sulla mobilità professionale europea.
A dettare le regole di questa mobilità è soprattutto la direttiva 2005/36/Ce aggiornata nel 2013, che favorisce la libera circolazione dei lavoratori nel mercato unico e nei Paesi dello Spazio economico europeo (Norvegia, Liechtenstein e Islanda), e ha riunito 15 diverse discipline riguardanti specifiche professioni. La direttiva 2005/36 vale per le professioni regolamentate nel Paese di destinazione, ma non si applica a revisori dei conti e intermediari assicurativi, che seguono regole ad hoc. Una graduale rimozione delle barriere, incoraggiata anche da una serie di sentenze della Corte di giustizia Ue.
Le professioni «armonizzate»
Medici, infermieri e architetti (così come veterinari, ostetriche e farmacisti) beneficiano del cosiddetto “riconoscimento automatico”, perché i requisiti minimi di formazione sono stati “armonizzati” a livello europeo. Per loro il primo passo è sempre quello di chiedere il riconoscimento della qualifica all’autorità competente del Paese di destinazione, le cui verifiche in questo caso sono più rapide e snelle.
Nel caso dei medici, un documento chiave da presentare è quello che attesta il «good professional standing», cioè l’onorabilità professionale, rilasciato dal ministero della Salute. «La libera circolazione della nostra professione - spiega Nicolino D’Autilia, responsabile del settore estero dell’Ordine (Fnomceo) - ha fatto notevoli passi avanti. I tempi di attesa per ottenere l’attestato sono però in alcuni casi molto lunghi, anche mesi».
Tra gli architetti, il riconoscimento è per chi ha un percorso di studi completo, con laurea quinquennale. «Mentre la figura degli iunior, prevista soltanto in pochi Paesi Ue, non è riconosciuta», spiega Livio Sacchi, del Consiglio nazionale (Cnappc). «A ogni modo, gli architetti italiani sono tra i più stimati all’estero per professionalità, anche fuori dalla Ue. Ma intanto a livello comunitario guardiamo con attenzione agli sviluppi della Brexit, mentre i professionisti inglesi hanno comunque chiesto di restare all’interno del Consiglio europeo degli architetti».
Gli infermieri (al pari di farmacisti, fisioterapisti, guide alpine e agenti immobiliari) hanno visto arrivare due anni fa la tessera professionale europea: una procedura online ancor più facile e veloce, in cui è il centro dello Stato di origine a valutare in primis i documenti. «Servirebbe però - dice Beatrice Mazzoleni, segretaria nazionale della Fnopi (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) - una maggiore uniformità tra i vari soggetti europei che si interfacciano con i lavoratori ospitati stabilmente in un altro Paese».
Il sistema generale
Ci sono altre professioni che vorrebbero accedere al meccanismo della tessera europea: in particolare architetti e ingegneri. Ma se i primi beneficiano già del riconoscimento automatico delle qualifiche, i secondi ricadono nel sistema generale previsto dalla direttiva 205/36/Ce. Che non è automatico ma prevede un confronto tra i percorsi formativo-professionali degli Stati e la possibilità, in caso di differenza “sostanziale” di condizionare il riconoscimento a misure compensative (prova attitudinale o tirocinio di adattamento). Gli ingegneri, già inclusi nella prima fase di sperimentazione della tessera, e poi scartati a causa della disomogeneità dei percorsi formativi tra i Paesi Ue, puntano comunque ad accedere al riconoscimento facilitato di cui già fruiscono gli architetti.
Regole ad hoc
Ancora differente il percorso per il riconoscimento del titolo degli avvocati. Per poter esercitare stabilmente all’interno della Ue il legale deve dimostrare almeno tre anni di attività nel Paese di destinazione. «Il sistema funziona - dice Carlo Forte, rappresentante del Consiglio nazionale forense a Bruxelles - e del resto i requisiti per la nostra professione, che per sua natura è fortemente radicata nel diritto nazionale, non potrebbero essere armonizzati».