Contenzioso

Distacchi, contributi calcolati sulle retribuzioni convenzionali solo in assenza di accordi

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di Andrea Costa

La Corte di cassazione, con la sentenza del 6 settembre 2016 n. 17646, ha stabilito che, nelle ipotesi di mobilità transnazionale dei lavoratori dipendenti, il comma 8-bis dell'articolo 51 del Tuir trova applicazione esclusivamente in campo fiscale, confermando così gli orientamenti del ministero del Lavoro (nota 18 gennaio 2001, n. 10282) e dell'Inps (circolare 10 aprile 2001, n. 86).
Vengono così ribaltate le conclusioni raggiunte in primo grado (Tribunale di Pinerolo, sentenza n. 392 del 2009), successivamente confermate dalla Corte d'appello di Torino con la sentenza n. 393 del 2010. Per il Tribunale, infatti, limitare la portata dell'art. 51 comma 8-bis del Tuir al solo campo fiscale, avrebbe tradito «sia il principio, introdotto con la Legge delega 662/96 e il successivo Decreto legislativo 314/97, di equiparazione di reddito ai fini contributivi con quello fiscale, sia l'intenzione del legislatore il quale, intervenendo successivamente ed in un sistema di tassatività delle eccezioni al suddetto principio, non ha in alcun modo previsto le deroghe volute dall'Inps». Tale impostazione è stata confermata anche dalla Corte d'appello, che ribadiva «l'introduzione del citato comma 8 bis è avvenuta in un momento successivo all'avvenuta equiparazione alle basi imponibili fiscale e previdenziale e che se il legislatore avesse voluto applicare il comma 8 bis ai soli fini fiscali non lo avrebbe inserito nell’articolo 51 del Tuir oppure lo avrebbe diversamente ed espressamente limitato».
I giudici di legittimità hanno però evidenziato come l'articolo 3, comma 19, della legge n. 662 del 1996 abbia previsto l'equiparazione delle basi imponibili solo «ove possibile», rendendosi dunque necessario l'esame preliminare della compatibilità con il sistema previdenziale delle modifiche di volta in volta introdotte ai fini fiscali. Con specifico riferimento al comma 8-bis, per i giudici sono diversi gli elementi che ne escludono la compatibilità:
- la circostanza che il discrimine temporale dei 183 giorni sia legato al concetto di residenza fiscale, elemento non rilevante ai fini previdenziali;
- l'ingiustificata compressione delle entrate pubbliche, oltre al pregiudizio della posizione previdenziale del lavoratore;
- il riferimento ai decreti ministeriali previsti dall'articolo 4 del Dl 31 luglio 1987 n. 317.
È proprio questo ultimo punto che, non mettendo in discussione l'impianto complessivo del sistema in cui tali decreti si inseriscono, sembra costituire l'elemento più convincente nell'impostazione della Corte. È infatti il decreto legge 317/1987, richiamato dal comma 8-bis, a prevedere l'utilizzo delle retribuzioni convenzionali ai fini previdenziali solo in assenza di appositi accordi bilaterali o multilaterali che richiamino i contributi previsti.
Ne consegue che, indipendentemente dal regime fiscale applicabile, nei casi in cui siano in vigore accordi che consentano il mantenimento della copertura assicurativa in Italia (come per gli Usa), i datori di lavoro sono tenuti a calcolare i contributi contemplati nell'accordo utilizzando come base imponibile la retribuzione effettiva.

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