Guerra in Ucraina banco di prova per la gestione delle risorse umane
La tragedia della guerra in Ucraina sta occupando da settimane la nostra prevalente attenzione. Rileva da questo punto di vista muovere alcune riflessioni su quelli che sono stati e tuttora sono alcuni impatti che interessano la gestione delle risorse umane. Lavorare a stretto contatto con le Direzioni Hr consente in effetti di comprendere meglio quali sono le prevalenti strategie operative che le imprese stanno tuttora adottando. Sono oltre 160 le aziende italiane presenti in Ucraina e almeno il triplo quelle con presenza organizzata in Russia. In molti casi si tratta di progetti (in origine) green field o di acquisizione di aziende locali. I problemi operativi sono chiaramente molti, da un lato la gestione di piani di evacuazione di dipendenti locali ed espatriati dall'Ucraina, dall'altro la gestione di non preventivabili criticità su processi operativi di norma ordinari, come ad esempio pagare gli stipendi al personale russo assunto presso la consociata russa ubicata a Mosca e controllata da una capogruppo italiana.
Un primo focus da attivare è quello concernente la situazione in evoluzione sul territorio ucraino: le aziende più previdenti hanno attivato il loro piano di evacuazione tra i 10 e i 15 giorni precedenti la data del 24 febbraio. Gli alert che tutte le agenzie di sicurezza avevano provveduto a diffondere in quella fase ha trovato pronte un primo nucleo di aziende che hanno provveduto a organizzare il rientro dei propri espatriati da un lato e la predisposizione di un primo piano di evacuazione dei dipendenti ucraini dall'altro. In effetti questo secondo step è stato maggiormente complesso anche per la fisiologica resistenza che i dipendenti di nazionalità ucraina, in quella fase, manifestavano.
I modelli di gestione della sicurezza dei dipendenti combinati con i piani di resilienza che le organizzazioni Hr più avanzate hanno nei loro planning operativo-emergenziali sono risultati in diversi casi estremamente efficaci: gli accordi stipulati con società operative specializzate in questo particolare campo hanno consentito una reazione immediata all'incedere esponenziale di un pericolo di cui in pochi hanno compreso, almeno fino a pochi giorni precedenti il 24 febbraio, la reale portata. Va peraltro sottolineato che la circostanza emergenziale del "piano di evacuazione tipo" ha incontrato – almeno nella prima metà del mese di febbraio – un ostacolo supplementare nella parallela emergenza sanitaria mondiale che, va ricordato, seppure in regressione, non è affatto cessata. A significare che quelle società esperte in sicurezza e piani di resilienza hanno gestito questi processi tenendo conto (anche) della variabile Covid, laddove le destinazioni di rientro avessero richiesto accorgimenti particolari (ad esempio, quarantene) per le provenienze dall'Ucraina.
Alla data odierna questo tipo di riflessione e, se del caso, modello di restrizione, è stato derubricato. Ma una gestione sviluppatasi nella prima metà di febbraio doveva necessariamente tenere in considerazione anche questo aspetto. Il funzionamento dei piani di evacuazione ha seguito regole e procedure che in generale hanno comportato:
- una prima delocalizzazione a ovest: le aziende maggiormente previdenti hanno teso a spostare ove possibile il personale in zone a ridosso del confine polacco, ricorrendo a soluzioni logistico-alberghiere e possibilità di lavorare (fin quando è stato possibile) in smart working;
- l'eventuale appoggio presso alberghi delle zone più ad ovest, con la possibilità di disporre di maggiori opzioni di scelta a fronte di una degenerazione (poi realizzatasi) degli eventi;
- l'evacuazione definitiva in Polonia una volta esploso il conflitto.
I tre passaggi sopra esposti si sono sviluppati, in media, tra il 20 gennaio e il 20 febbraio, con cadenze e ritmi diversi in funzione del diverso grado e livello di organizzazione che le aziende internazionali coinvolte hanno potuto mettere in campo.Laddove le multinazionali coinvolte disponessero di sister companies polacche è stato conseguente "assegnare" presso le città/regioni di ubicazione polacca il personale ucraino coinvolto nelle operazioni di evacuazione, laddove gli espatriati hanno altresì fatto ritorno nei loro paesi di origine.
Un aspetto particolarmente interessante è quello che ha riguardato e riguarda il rapporto di lavoro che i dipendenti ucraini hanno nei fatti mantenuto con la consociata ucraina, posta una diffusa disponibilità di molte aziende del gruppo a favorire l'assunzione diretta presso una delle soluzioni internazionali offerte dal gruppo medesimo, con una prevalente opzione, in questa fase, per le consociate polacche.
Un secondo paese particolarmente attenzionato è stato su quest'ultimo tema la Romania.Nel dramma che tutti stiamo osservando non va dimenticata la condizione dei lavoratori e dipendenti russi, nel caso di specie di tutti quei lavoratori dipendenti di consociate russe di capogruppo italiane: da questa latitudine il problema assume a oggi un profilo diverso, di carattere prevalentemente tecnico, avuto particolare riguardo della gestione operativa e amministrativa del personale: il riferimento è al pagamento degli stipendi che nel corso delle prossime settimane potrebbe diventare sempre più complesso e critico, forse in alcuni casi impraticabile. Questa circostanza sarà tanto più spiccata per quelle aziende che esulano dai comparti bancari e assicurativi, certamente più agili e attrezzati per superare le crescenti difficoltà relative alla gestione dei pagamenti. È un aspetto di particolare rilievo sul quale molte aziende si stanno concentrando, posto uno scenario di medio termine che metterà in generale in discussione la business continuity della presenza delle nostre multinazionali in Russia: è in questo senso che va sottolineato il ruolo critico coperto da molti espatriati italiani, correntemente presenti in Russia, assegnati su ruoli di norma apicali e chiamati in questo momento a gestire problemi gestionali di enorme portata.
Andrea Benigni è Amministratore Delegato ECA Italia