Il commercialista «consapevole» concorre nel reato dichiarativo
La Cassazione: contribuisce al meccanismo fraudolento il professionista che, per timore di perderlo, non denuncia il cliente evasore
Il commercialista concorre nel reato dichiarativo del proprio cliente allorché agevola consapevolmente la sua condotta criminosa e non rileva che il suo contributo non sia determinante ai fini della commissione dell’illecito, né che ne sia l’ispiratore.
È quanto emerge dalle più recenti pronunce della Corte di cassazione in tema di concorso del professionista nell’illecito del cliente. Ma vediamo in concreto i termini della delicata problematica.
Concorso nel reato
La maggior parte dei contribuenti si affida per gli adempimenti fiscali e contabili a commercialisti e consulenti. In presenza di illeciti penali tributari commessi dal contribuente si pone spesso il dubbio se del reato possa rispondere (a titolo di concorso) anche il professionista che assiste il cliente. Da un lato, infatti, alcune violazioni sono così articolate e sofisticate che sembra inverosimile siano state ideate dal contribuente sprovvisto di specifiche cognizioni tecniche, dall’altro il professionista si limita di sovente a eseguire adempimenti (contabilità, versamenti, dichiarazioni) sulla base della documentazione fornita dal cliente e neanche si può ovviamente pretendere che nei confronti di quegli atti assuma un approccio investigativo-inquisitore.
In tale contesto, la norma di riferimento (articolo 110 del codice penale) si limita a prevedere che quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita.
Secondo le sezioni unite penali della Cassazione (sentenza 36258 del 2012) il concorso comprende tutte le diverse forme e i diversi gradi di partecipazione criminosa, indipendentemente dall’importanza di quest’ultima nella determinazione dell’evento, compresa la partecipazione morale al fatto altrui nelle sue varie forme del mandato, dell’incitamento, del rafforzamento della volontà dell’autore (cosiddetto principale) e dell’agevolazione in genere .
Con specifico riferimento ai reati tributari, per la Suprema corte non vi è dubbio che il soggetto attivo possa essere soltanto il contribuente obbligato dell’adempimento. Tuttavia, anche soggetti diversi (dottori commercialisti, consulenti contabili, avvocati e coloro che prestano assistenza tributaria) possono occupare una posizione penalmente rilevante rispetto ai clienti a favore dei quali prestano la propria attività professionale. A tal fine, per ritenere il professionista compartecipe nei reati del proprio cliente è necessario che sia integrato il dolo specifico dell’illecito e, pertanto, che l’apporto prestato sia “intriso” di volontà fraudolenta finalizzata all’evasione, ancorché, come detto, l’apporto professionale non sia determinante ai fini dell’attuazione dell’illecito.
Il rapporto col cliente
Così di recente è stato ritenuto responsabile di dichiarazione fraudolenta unitamente al proprio cliente il commercialista che ne aveva tenuto la contabilità curando la registrazione delle fatture ed effettuando dichiarazioni dei redditi e bilanci e che, seppur a conoscenza di varie anomalie emergenti dalla contabilità (presenza di numerose autofatture con identità di nome tra cedente e acquirente per importi rilevanti, prelievi di elevate somme in contanti), non si era attivato per segnalarle agli organi competenti, ma aveva proseguito nell’assistenza per timore di perdere il cliente. In questo modo, secondo la Cassazione (sentenza 159 del 2022) ha contribuito all’attuazione del meccanismo fraudolento posto in essere dalla società del cliente.
È stato poi ritenuto concorrente nel reato di indebita compensazione il consulente che, sistematicamente, ha creato fittizi crediti per agevolare la società nei pagamenti (sentenza 44939 del 2021).
E ancora, sulla delicata apposizione del visto di conformità da parte del consulente rispetto a dichiarazioni riportanti crediti di imposta sospetti, la Suprema corte (sentenza 26089 del 2020) ha ritenuto responsabile il professionista che aveva omesso i dovuti controlli.
È stato invece sempre escluso (anche di recente con la sentenza 4973 del 2022) che l’omessa presentazione della dichiarazione possa essere attribuita al professionista incaricato della trasmissione e risultato inadempiente, in quanto si tratta comunque di un obbligo specifico del contribuente, che impone un obbligo di verifica dell’avvenuto adempimento ove delegato a terzi.