Il congedo per handicap grave può essere di due anni per ogni persona da assistere
Per effetto di quanto disposto dall'articolo 42, comma 5, del Dlgs 151/2001, il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 104/1992, ha diritto a fruire del congedo di cui all’articolo 4, comma 2, della legge 53/2000. Si tratta del congedo, continuativo o frazionato, di durata non superiore a due anni, attribuito ai dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del comma 4. Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa.
La sentenza 11031/2017 della Corte di cassazione si occupa di stabilire in che modo debba essere interpretato e conteggiato il limite di durata non superiore ai due anni nel caso di più figli minori portatori di handicap grave. In tal caso, infatti, occorre verificare se tale congedo possa essere attribuito più volte in capo allo stesso lavoratore, a fronte della locuzione durata complessiva di due anni che pacificamente consente di sommare i periodi di congedo goduti alternativamente da entrambi i genitori.
Secondo la tesi dell'Inps, dal quadro normativo sopra indicato (arricchito anche dall'articolo 2 del Dm 278/2000, dove si prevede la possibilità di utilizzare il congedo biennale per un periodo non superiore a due anni nell'arco della vita lavorativa) si desume chiaramente che il diritto al congedo biennale può essere fruito una sola volta, in maniera continuativa o frazionata, durante la vita lavorativa.
La sezione lavoro della Cassazione è, tuttavia, di contrario avviso. Infatti, nessuna delle disposizioni citate consente di affermare che il legislatore abbia voluto riferirsi alla durata complessiva dei congedi astrattamente ipotizzabili a favore di ciascun soggetto che ne abbia diritto, anche nell'ipotesi in cui le persone da assistere siano più di una. Con la possibilità, dunque, che esaurito il periodo massimo di congedo per un figlio, l'avente diritto possa accedere ad altro analogo periodo di congedo per l'assistenza di altro minore nelle stesse condizioni di handicap.
In effetti, le finalità e i presupposti del congedo in base all’articolo 42 sono da ravvisarsi nella esigenza di assistere in via continuativa il soggetto che si trovi in situazione di handicap grave accertato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 104/1992. Così come accade nella parallela vicenda dei permessi giornalieri retribuiti previsti dal medesimo articolo 42 del Dlgs 151/2001 (si veda Cassazione, sezione lavoro, numero 4623/2010), le misure di agevolazione per i dipendenti devono essere interpretate alla luce dei meccanismi di solidarietà che non si identificano esclusivamente con l'assistenza familiare e che devono tener conto degli altri valori costituzionali in giuoco.
Dunque, la prima necessità è che non tanto sia consentito al lavoratore di essere presente nel nucleo familiare, quanto che sia garantita al bambino con handicap la necessaria e sufficiente assistenza. In altre parole, il destinatario della tutela è sempre e solo il minore portatore di handicap (Corte Costituzionale, sentenza 19/2009). Secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, tale forma di tutela verrebbe vanificata o comunque compromessa se si ritenesse non superabile il limite dei due anni anche in presenza di ulteriori soggetti bisognosi di assistenza.
Piuttosto, tale limite, che rimane non superabile nell'arco della vita lavorativa anche nel caso di godimento cumulativo di entrambi i genitori, deve necessariamente riferirsi a ciascun figlio che si trovi nella situazione di bisogno descritta dalle norme, in modo che sia garantita per ognuno di essi la necessaria assistenza.
Tali conclusioni sono avvalorate anche sotto il profilo normativo, in quanto l'articolo 4 del Dlgs 119/2011 ha modificato l'articolo 42 del Dlgs 151/2001, in materia di congedo per assistenza di portatore di handicap grave, prevedendo espressamente (comma 5 bis) che il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa.
In una interpretazione volta alla massima tutela della situazione di bisogno, la norma deve essere interpretata non come innovativa ma confermativa dell'indicazione della legge precedente (come in effetti risulta inteso anche dalle indicazioni di cui alle circolari Inpdap 2/2002 e 31/2004) .