Contenzioso

Il licenziamento dopo la malattia è ritorsivo, se non motivato

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di Giuseppe Bulgarini d'Elci

È ritorsivo il licenziamento intimato sul presupposto di una riorganizzazione aziendale che risulti priva di ogni fondamento sul piano fattuale, se l'intimazione è intervenuta subito dopo il rientro del lavoratore da un lungo periodo di malattia.

Le regole di esperienza suggeriscono che, laddove sia stata esclusa la fondatezza delle ragioni poste a presidio del licenziamento, la circostanza che il recesso sia stato comunicato al dipendente al rientro dalla malattia, senza neppure dargli modo di riprendere effettivamente servizio, il vero motivo del provvedimento espulsivo sia quello della rappresaglia.

La Corte di cassazione (sentenza 23583/2019 depositata ieri) ha raggiunto questa conclusione in un caso nel quale l'impresa ha consegnato a un dipendente, appena rientrato in servizio dopo più di 7 mesi di ininterrotta assenza per malattia, una lettera di licenziamento per soppressione del settore produttivo in cui si deduceva che il lavoratore prestasse servizio.

In tribunale è, tuttavia, emerso che non esisteva un apposito reparto cui il dipendente fosse adibito e che, al contrario, le attività dal medesimo precedentemente svolte costituivano parte del core business aziendale. È emerso, inoltre, che successivamente al licenziamento la società ha assunto un nuovo dipendente per svolgere, di fatto, le lavorazioni cui era precedentemente adibito quello licenziato.

Sulla scorta di queste acquisizioni, la Cassazione prende atto della insussistenza delle ragioni organizzative dedotte dall'impresa a fondamento del licenziamento e conclude che la contiguità temporale con il rientro del dipendente dalla malattia dopo una prolungata forzata astensione dal lavoro sono indice, secondo ciò che accade di solito, della natura prettamente ritorsiva della decisione.

La Cassazione conferma l'indirizzo per il quale l'intento ritorsivo debba costituire il motivo esclusivo e determinante del licenziamento, alla cui verifica si perviene se, in assenza della rappresaglia, il recesso datoriale non sarebbe stato intimato. Il motivo ritorsivo deve costituire, in altri termini, l'unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dalla (insussistente) motivazione formale addotta per giustificare il licenziamento.

Ricollegandosi a questo excursus, la Suprema corte ha registrato che la palese infondatezza delle motivazioni poste a presidio della insussistente riorganizzazione aziendale e la coincidenza temporale del recesso con il rientro dalla malattia sono una conferma incontrovertibile della natura ritorsiva del recesso.

Ne deriva, ad avviso della Cassazione, la nullità del licenziamento, con tutte le conseguenze previste dall'articolo 18, comma 1, dello Statuto dei lavoratori, in termini di reintegrazione in servizio e di versamento delle mensilità non lavorate tra la data di licenziamento ritorsivo e quella della effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro.

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