Contenzioso

Il risarcimento per licenziamento ingiustificato può essere limitato se non c'è colpa

di Carlo Marinelli e Uberto Percivalle

Il risarcimento del danno spettante al lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato, mediante corresponsione di una indennità commisurata alla retribuzione non percepita, costituisce una presunzione di lucro cessante che ammette la prova contraria, il cui presupposto, secondo il generale principio della responsabilità contrattuale, è l'imputabilità al datore di lavoro dell'inadempimento, fatta eccezione per la misura minima (prevista dalla legge) di cinque mensilità, che costituisce una sorta di penale avente la sua radice nel rischio di impresa. Ne consegue che il datore di lavoro convenuto in giudizio ha la possibilità di vincere tale presunzione provando la mancanza di colpa e limitando così il risarcimento del danno alla misura minima. È quanto di recente affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza 30677/2018.

Una compagnia di assicurazioni ha licenziato un dipendente per inidoneità sopravvenuta a rendere la prestazione lavorativa, sulla base di una documentazione medica utilizzata dallo stesso dipendente e mai contestata dallo stesso. I giudici di primo grado hanno dichiarato la legittimità del recesso ma la sentenza è stata riformata in appello, a fronte di una consulenza medico legale che ha evidenziato come solo nello stato iniziale la malattia aveva determinato uno stato di effettiva invalidità, successivamente venuto meno dopo le cure praticate.

La Corte di appello ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento e condannato la compagnia di assicurazioni a reintegrare il dipendente e a risarcirgli il danno pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento all'effettiva reintegra. La società ha presentato ricorso in Cassazione per diversi motivi, lamentando, tra l'altro, il fatto che la Corte territoriale avesse erroneamente determinato il danno oltre la misura minima delle cinque mensilità, senza considerare che il datore di lavoro non aveva avuto alcuna colpa nell'intimazione del licenziamento, essendosi basato su una documentazione medica utilizzata dallo stesso lavoratore e mai contestata.

I Giudici di legittimità hanno respinto il motivo evidenziando come, nel caso specifico, il datore di lavoro non abbia dedotto alcuno specifico elemento di fatto a sostegno della pretesa mancanza di colpa, né abbia sollecitato una valutazione dei giudici su tale specifico aspetto, ma facendo pur sempre salvo il principio secondo il quale l'indennità per licenziamento ingiustificato prevista dall'articolo 18 della legge 300/1970 (all'epoca vigente) costituisce una presunzione di lucro cessante superabile qualora l'inadempimento (ossia il recesso dal contratto di lavoro) non sia direttamente imputabile al datore di lavoro.

La pronuncia è importante perché, sebbene non costituisca una novità assoluta, sono rari i precedenti (Cassazione 10260/2002 e 8364/2004) che abbiano toccato il punto, rammentando che la presunzione di legge contenuta nell'articolo 18 della legge 300/1970 (a eccezione della misura minima di cinque mensilità) non comporta automaticamente una forma di responsabilità oggettiva, con esclusione di ogni rilevanza dei profili del dolo o della colpa nel comportamento del recedente. Al contrario, la sussistenza della responsabilità risarcitoria deve pur sempre ritenersi regolata dai principi generali del codice civile in tema di risarcimento del danno per inadempimento, con la conseguente applicabilità dell'articolo 1218 del codice civile, secondo cui il debitore non è tenuto al risarcimento del danno, nel caso in cui fornisca la prova che l'inadempimento consegue a impossibilità della prestazione a lui non imputabile.

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