L’amministratore delegato non è dipendente se ha poteri ampi
Come si combina la subordinazione con il ruolo di amministratore o socio di una società? Il messaggio Inps 3359/2019, pubblicato ieri, risponde alla domanda fornendo un’utile ricognizione dei profili giuridici di una questione che ha una grande rilevanza per gli organi di vertice delle imprese.
Per quanto riguarda la possibile coesistenza tra la posizione di amministratore di società di capitali e quella di lavoratore dipendente della medesima impresa, l’Istituto, ricordando un principio più volte affermato dalla Cassazione, evidenzia che la carica di amministratore (o di presidente), in sé considerata, non è incompatibile con lo status di lavoratore subordinato. Le due posizioni possono coesistere a patto che la persona sia soggetta alle direttive, alle decisioni e al controllo dell’organo collegiale.
Tale affermazione non è contraddetta neanche dall’eventuale conferimento del potere di rappresentanza al presidente, in quanto tale delega non estende automaticamente all’organo i diversi poteri deliberativi.
La situazione è differente per l’amministratore unico della società: tale organo è detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale e quindi non può assumere anche la posizione di lavoratore dipendente della stessa società.
Per quanto concerne l’amministratore delegato, viene esclusa la compatibilità con la subordinazione qualora la delega conferita dal consiglio di amministrazione in suo favore abbia portata generale, dandogli facoltà di agire senza il consenso del Cda.
Invece l’attribuzione da parte del consiglio di amministrazione del solo potere di rappresentanza, ovvero di specifiche e limitate deleghe all’amministratore, non è incompatibile, in linea generale, con l’instaurazione di genuini rapporti di lavoro subordinato.
Il messaggio Inps esamina anche la compatibilità del rapporto di lavoro subordinato con la posizione di socio. Viene esclusa la possibilità di far coesistere le due posizioni in caso di unico socio, perché la concentrazione della proprietà nelle mani di una sola persona esclude l’effettiva soggezione alle direttive di un organo societario; la cumulabilità viene negata anche nel caso in cui il socio abbia assunto di fatto l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione della società.
A parte questi casi, l’Inps ricorda che la semplice coesistenza della posizione di socio e amministratore può essere sintomatica della non sussistenza del vincolo di subordinazione, ma non è di per sé sufficiente a escludere che ci sia un vero rapporto di dipendenza.
Occorre verificare, caso per caso, se questo rapporto esiste, avendo presente alcuni indicatori di subordinazione: il potere deliberativo deve essere affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso; il soggetto deve svolgere, in concreto, attività che non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe. È necessario, inoltre, che la costituzione e gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili a una volontà della società distinta dal soggetto titolare della carica (amministratore, eccetera): un legame formale eccessivo tra i due rapporti è, quindi, da sconsigliare.