Il CommentoPrevidenza

L’incumulabilità fra la pensione quota 100 e il lavoro

La ritenuta omogeneità tra lavoro autonomo e lavoro subordinato ai fini del cumulo della pensione quota 100 con i redditi di lavoro in attesa del deposito della sentenza della Consulta che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Trento

di AGI a cura di Stefania Pollicoro

In anteprima da Guida al Lavoro n. 42 del 21 ottobre 2022

Abbiamo letto in questi giorni il comunicato stampa pubblicato dalla Corte Costituzionale con il quale si è divulgato l'esito del giudizio di costituzionalità dell'art. 14 comma 3 del d. l. 28 gennaio 2019 n. 4 convertito, con modificazioni in Legge 28 marzo 2019, n. 26.
Si legge nel detto comunicato che la Corte Costituzionale ha deciso di dichiarare non fondata la questione di costituzionalità dell'indicata disposizione normativa sollevata dal Tribunale di Trento con ordinanza n. 211 del 25 agosto 2021.
L'argomento oggetto della decisone dell'indicato Tribunale riguardava il caso di un pensionato quota cento che aveva svolto attività di lavoro subordinato intermittente ed aveva percepito, nei periodi lavorati, una retribuzione inferiore al 5.000,00 euro annui.
Il Giudice remittente ha motivato la questione di legittimità costituzionale sollevata ritenendo che la norma denunciata fosse in contrasto con il principio di eguaglianza formale di cui all'art. 3 comma 1 della Carta Fondamentale in quanto la norma sospettata di illegittimità costituzionale consente il cumulo della pensione liquidata con quota cento solo con il lavoro autonomo occasionale, tale essendo quello il cui reddito annuale sia inferiore a 5.000,00 euro, ed esclude, invece, il cumulo della medesima prestazione pensionistica con il lavoro dipendente il cui reddito sia inferiore all'indicato limite di euro 5.000,00 annui.
Nel provvedimento di rimessione si dà atto che la Consulta in un precedente arresto (Sent. 433 del 1994) aveva avuto modo di affermare che le posizioni dei pensionati che svolgono lavoro autonomo rispetto a quelli che prestano attività retribuita alle dipendenze di terzi sono posizioni diversificate in quanto, come più volte affermato dalla medesima Corte, differenti sono i rispettivi rapporti che danno causa al reddito percepito oltre la pensione così come diversificati sono anche i relativi sistemi contributivi.
Orbene, malgrado la richiamata specificazione il Giudice del Lavoro del Tribunale di Trento ha ritenuto che nella fattispecie sottoposta al suo esame e sopra riferita quello che rileva non è il sistema contributivo dell'attività lavorativa svolta dal pensionato ma le conseguenze che l'esercizio di tale attività produce sulla spettanza della pensione anticipata, di cui il prestatore è titolare, nell'anno di percezione dei redditi da lavoro dipendenti.
Aggiunge ancora il remittente che, secondo la dottrina, la distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato non è più così nitida dopo l'introduzione nel nostro ordinamento dei c.d. contratti di lavoro atipici quale è quello oggetto di giudizio.
Sempre secondo il Tribunale, infine, l'eventuale estensione della possibilità di cumulo della pensione quota cento anche ai lavoratori subordinati che percepiscono un reddito inferiore a 5.000,00 euro annui non intaccherebbe minimamente lo scopo, che il legislatore si è posto con la facilitazione in uscita dal mondo del lavoro con il pensionamento anticipato, al fine di favorire il ricambio generazionale attraverso l'incremento dell'occupazione giovanile. E ciò, in quanto, "lo svolgimento di attività di lavoro dipendente, che sia produttiva di redditi non superiori a euro 5.000,00 lordi, non fa dubitare della volontà del prestatore di conservare la qualità di pensionato, né incide negativamente sul ricambio generazionale nell'occupazione stabile, specie se esercitata in esecuzione di contratti di lavoro atipici, quanto meno non in misura maggiore rispetto a un'attività di lavoro autonoma occasionale produttiva di redditi entro lo stesso limite." (così testualmente nell'ordinanza di rimessione).
Gli assunti contenuti nel provvedimento del Tribunale di Trento così come formulati risultano affatto condivisibili.

I trattamenti di quiescenza
Per rendere maggiormente intellegibile le conclusioni che ci accingiamo a riferire è il caso di ricordare che, oggi, nel nostro ordinamento i trattamenti previdenziali di quiescenza di cui un lavoratore può usufruire risultano essere differenziati in relazione alle condizioni, fisiche, contributive e di età in cui il lavoratore, sia esso autonomo, subordinato o atipico, si trova.
La prima delle indicate prestazioni risulta essere la pensione di inabilità prevista dalla legge n. 222 del 1984 che può essere riconosciuta ai lavoratori totalmente inabili che possono far valere cinque anni di contribuzione di cui tre nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda. La seconda prestazione è la pensione di vecchiaia. Questo trattamento di quiescenza può essere riconosciuto ai lavoratori che abbiano compiuto, oggi, sessantasette anni di età e possano far valere 20 anni di contribuzione a condizione che il rateo di pensione sia superiore ad 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale.
La medesima pensione può essere riconosciuta ai lavoratori che abbiano compiuto 71 anni di età e possano far valere cinque anni di contribuzione effettiva. L'indicato requisito di età, originariamente di settant'anni secondo quanto previsto dall'art. 24 comma 7 d.l. n. 201 del 2011 c.d. riforma Monti-Fornero, risulta tale a seguito degli incrementi delle aspettative di vita rilevati dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78.
La terza delle indicate prestazioni è la pensione anticipata (la vecchia pensione di anzianità) la quale, dopo l'indicata riforma Monti - Fornero (d.l..201/2011) che ne ha anche cambiato la denominazione, può essere riconosciuta ai lavoratori che possono far valere 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva, se uomini, e 41 anni e 10 mesi se donne.
In questo contesto si inserisce il d.l. n. 4 del 2019 il cui art. 14 ha, sperimentalmente, inserito la c.d. pensione quota cento.
Detta prestazione è una pensione anticipata, attribuibile solo fino al 31.12.2022, può essere riconosciuta, per il triennio 2019-2021, ai lavoratori che raggiungono un'età anagrafica di almeno 62 anni ed hanno un'anzianità contributiva minima di 38 anni. La medesima prestazione può essere riconosciuta anche nell'anno 2022 a condizione che il lavoratore interessato abbia un'età anagrafica 64 anni e, ovviamente, anche i 38 anni di anzianità contributiva.
Orbene, il citato art. 14 del d.l. 4 del 2019 al terzo comma prevede che la pensione quota cento, per il periodo che va dalla data di attribuzione del medesimo trattamento e fino alla maturazione dei requisiti per l'accesso alla pensione di vecchiaia, che, come abbiamo visto è costituito dal compimento di sessantasette anni, non è cumulabile con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui.

La legittimità costituzionale del 3° comma dell'art. 14, D.L. n. 4/2019
Per come abbiamo già sopra riferito, il Tribunale di Trento ha ritenuto quest'ultima disposizione in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione.
I motivi posti a fondamento della sollevata questione di legittimità costituzionale appaiono non condivisibili anche dalla sola lettura della stessa ordinanza di rimessione.
La diversità delle fattispecie poste a confronto viene constatata dallo stesso estensore dell'ordinanza. In effetti, la diversificazione rilevata dalla consulta nella sentenza n. 433 del 1994 non può essere considerata indifferenziata, come ritiene il remittente, in relazione alle conseguenze pensionistiche che la diversa attività lavorativa (autonoma o subordinata) produce sulla prestazione di quiescenza. La Corte delle Leggi, infatti, ritiene che le due posizioni sono diversificate in relazione alla diversità dei rispettivi rapporti che si riverberano, solo in un momento successivo, sui differenti sistemi contributivi. Peraltro, la Corte Costituzionale già in precedenza aveva affermato (Sentenza n. 70 del 19.03.2002 che richiama le precedenti 133 del 2011 e 416 del 1999) che le rimarchevoli differenze esistenti tra la fattispecie del lavoro autonomo e quella del lavoro subordinato non consentono di riconoscere nella disciplina previdenziale di quest'ultimo un idoneo tertium comparationis.
Nel descritto contesto interpretativo ed in prosecuzione di esso si inserisce, a ben ragione, la decisione della Consulta del 05 ottobre 2022.
Per quanto è dato comprendere dallo scarno testo del comunicato stampa, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione sollevata dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Trento rimarcando ancora una volta la non comparabilità, ai fini dell'applicazione dell'art. 3 comma 1 della Carta Fondamentale, del lavoro autonomo con il lavoro subordinato.
Peraltro, ha evidenziato ineccepibilmente la Corte delle Leggi, nelle ipotesi di svolgimento di lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000,00 euro lordi annui non sorge alcun obbligo contributivo. Appare di lapalissiana evidenza, la neutralità di tale prestazione lavorativa rispetto alla determinazione e quantificazione della prestazione pensionistica. Nel sistema esclusivamente contributivo oggi vigente, lo svolgimento di una prestazione lavorativa che non da luogo ad alcuna obbligazione contributiva non incide minimamente sulla prestazione pensionistica. Al contrario di quanto accade, invece, nelle ipotesi di svolgimento di una attività di lavoro subordinato o atipico nelle quali l'obbligo contributivo,posto a carico del datore o del committente, sorge anche in caso di svolgimento di detta attività anche per una sola ora.
A ciò è da aggiungere, sempre secondo il comunicato stampa della Corte che l'ulteriore rilevata giustificazione della preclusione di svolgimento di un'attività di lavoro subordinato per i pensionati quota cento, trova fondamento e si giustifica nella circostanza secondo la quale la richiesta di uscire anticipatamente dal mondo del lavoro, agevolata dal legislatore con l'attribuzione della descritta facoltà di pensionamento, entrerebbe in netta contraddizione con la prosecuzione di una prestazione lavorativa.

Conclusioni
In conclusione, non può che condividersi totalmente la decisione della Consulta anche perché il continuare a svolgere attività lavorativa per la quale deve essere versata la contribuzione comporterebbe la conseguenziale maturazione del diritto quantomeno ad un supplemento di pensione.
Se ciò accadesse verrebbe veramente frustrato il fine che il legislatore ha inteso raggiungere con l'introduzione, anche se sperimentale, della pensione c.d. quota cento.