Rapporti di lavoro

La giurisprudenza fissa i confini per i controlli sui dipendenti

di Marcello Floris

La posizione di chiusura dell'Ispettorato nazionale del lavoro sul controllo a distanza dei lavoratori dei call center e delle loro prestazioni tramite determinati software (espressa nella circolare 4 del 26 luglio, si veda Il Sole 24 Ore del 28 luglio) riporta in primo piano le regole applicative del nuovo articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, modificato dal Dlgs 151/2015.

La giurisprudenza può dare indicazioni utili sull’interpretazione delle nuove regole, che in alcuni casi hanno semplificato l'uso di strumenti di controllo dei lavoratori, ma in altri hanno lasciato immutati una serie di vincoli dei quali le aziende devono tenere conto. Alcune indicazioni preliminari emergono da sentenze molto recenti, anche se basate sulle norme previgenti.

Badge e internet
La Cassazione ha sancito nella sentenza 17531 del 14 luglio 2017 che il badge ad alta frequenza è uno strumento di controllo a distanza e non un semplice rilevatore di presenze.Questo dispositivo, munito di un chip ad hoc (Rfid), trasmette tutti i dati relativi al dipendente, tra cui ingressi, uscite, sospensioni, permessi e pause e dunque il suo utilizzo è lecito se c'è un accordo con le rappresentanze sindacali o l'autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro, come previsto dall'articolo 4 della legge 300/1970.

In una decisione del 13 giugno 2016, il Tribunale di Brescia ha confermato la legittimità di un licenziamento fondato sul controllo degli accessi a internet eseguito solo attraverso la cronologia del computer, senza installare alcun apparato aggiuntivo di controllo, trattandosi di dati che vengono normalmente registrati da qualsiasi Pc.

Si era già espressa in linea con questo orientamento la Cassazione, nella sentenza 14862 del 15 giugno 2017: la Corte ha confermato la legittimità del licenziamento intimato da un datore di lavoro a un dipendente che aveva abusato ripetutamente della connessione internet messa a disposizione dall'azienda. In questo caso, non sono stati ritenuti necessari né un accordo con le rappresentanze sindacali, né alcuna autorizzazione, per il controllo del computer aziendale.


L’autorizzazione al datore
Le modifiche del 2015 allo Statuto dei lavoratori hanno superato il netto divieto di uso degli impianti audiovisivi e di altre apparecchiature che consentissero il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Ora questa possibilità è subordinata all'esistenza di esigenze organizzative e produttive, alla sicurezza del lavoro e alla tutela del patrimonio aziendale. Ferma restando la necessità di queste condizioni, questi apparati possono essere impiegati previo accordo collettivo stipulato con le rappresentanze sindacali aziendali o con l'autorizzazione dell'ispettorato territoriale del lavoro. C'è un'eccezione: gli ultimi due commi dell'articolo 4 precisano che i limiti sopra indicati non si applicano agli strumenti usati dal lavoratore per rendere la sua prestazione e a quelli per la sola registrazione delle presenze (diversi quindi dal badge con chip Rfid). Questi congegni, quindi, possono essere usati liberamente dal datore di lavoro.

Le informazioni raccolte con i mezzi per adempiere alla prestazione, o con i dispositivi di controllo autorizzati, sono utilizzabili a tutti i fini legati al rapporto di lavoro, inclusi quelli disciplinari, ma solo a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione sulle modalità d'uso degli strumenti e di esecuzione dei controlli e siano rispettate le norme sulla tutela dei dati personali.

Gli strumenti di controllo per i quali l'azienda non deve stipulare un accordo né richiedere un'autorizzazione, secondo il ministero del Lavoro, sono Pc, tablet e cellulari. Tuttavia, «nel momento in cui lo strumento viene modificato (ad esempio, con l'aggiunta di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il lavoratore (...) da strumento che serve al lavoratore per rendere la prestazione, il Pc, il tablet o il cellulare divengono strumenti che servono al datore per controllarne la prestazione».

Come ricorda la direzione interregionale del Lavoro di Milano nella nota n. 5689 del 10 maggio 2016, si definisce strumento di lavoro il mezzo che «serve al lavoratore per adempiere al suo obbligo dedotto in contratto». Il parere reso dalla direzione riguardava l'installazione di un sistema di geolocalizzazione su veicoli aziendali, per i quali non sono ritenuti necessari l'accordo sindacale o l'autorizzazione ministeriale. Altrettanto vale per lo smartphone aziendale in uso ai venditori dotato di mappe utili per gli spostamenti.


Il caso dei Gps
Sui Gps, l'Ispettorato nazionale del lavoro (circolare 2/2016) fa una ulteriore distinzione: in generale, questi sistemi rappresentano un «elemento aggiunto» non essenziale all'esecuzione della prestazione lavorativa, e quindi la loro installazione è soggetta ad autorizzazione o ad accordo sindacale.Solo in casi particolari, se la prestazione non può essere resa senza l'uso dei Gps - ad esempio nel caso dei portavalori - o se l'installazione è richiesta da normative specifiche, gli stessi finiscono per essere considerati veri e propri strumenti di lavoro, non soggetti, dunque, ad autorizzazione.

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