Contenzioso

Lavoratori autonomi non discriminabili a causa dell’orientamento sessuale

I singoli Stati non possono depotenziare le tutele previste dall’Unione europea

di Giampiero Falasca

Il contrasto alle forme di discriminazione lavorativa fondate sull’orientamento sessuale non può rimanere confinato dentro il perimetro del lavoro subordinato, ma si estende anche a tutte le forme lavoro autonomo. Con l’affermazione di questo principio, la Corte di giustizia europea (sentenza causa C-356/21) segna un momento fondamentale per la lotta contro ogni forma di discriminazione.

L’aspetto importante della pronuncia non risiede tanto nell’affermazione del principio –le norme comunitarie affermano con chiarezza il concetto – quanto la precisazione della Corte circa l’impossibilità, per gli Stati membri, di interpretare e modificare le regole a proprio piacimento: un baluardo importante contro la tentazione di declinare in senso restrittivo il tema dei diritti civili.

La vicenda nasce in Polonia e riguarda un lavoratore autonomo che, nel periodo compreso tra il 2010 e il 2017, ha realizzato montaggi audiovisivi, trailer e servizi di costume e società per una società che gestisce un canale televisivo, sulla base di contratti d’opera consecutivi di breve durata. La collaborazione si è interrotta nel dicembre 2017, dopo che questo lavoratore autonomo ha pubblicato su Youtube un video musicale nel quale veniva promossa e incentivata la tolleranza verso le coppie di persone dello stesso sesso. Dopo la pubblicazione di questo video, il lavoratore autonomo ha ricevuto una sgradita sorpresa: la società ha cancellato tutti gli impegni di lavoro ancora in piedi e, alla scadenza del contratto, non ha più rinnovato alcun incarico.

Il lavoratore ha proposto ricorso al Tribunale di Varsavia per ottenere un risarcimento del danno, lamentando di essere stato vittima di una discriminazione diretta fondata sul suo orientamento sessuale.

Il Tribunale polacco si è rivolto alla Corte Ue per chiedere se una vicenda del genere, nella quale la persona interessata dal trattamento discriminatorio non è un lavoratore subordinato, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78/Ce sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Il Tribunale di Varsavia ha chiesto alla Corte di giustizia anche di valutare la compatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che non includa il rifiuto di concludere un contratto, fondato sull’orientamento sessuale di una persona, tra le tutele applicabili al lavoro autonomo; la legge polacca, infatti, adotta una versione molto minimalista della parità di trattamento nell’ambito dei contratti (sono vietate solo alcune condotte discriminatorie, quelle fondate sul sesso, sulla razza, sull’origine etnica e sulla nazionalità).

La Corte Ue fornisce una risposta molto netta, ricordando che la direttiva comunitaria si preoccupa di garantire una tutela contro le discriminazioni con riferimento a qualsiasi attività professionale, a prescindere dalla sua natura e dalle sue caratteristiche. La direttiva 2000/78, ricorda la Corte, ha l’obiettivo di eliminare, per ragioni di interesse sociale e pubblico, tutti gli ostacoli alla capacità di contribuire alla società attraverso il lavoro fondati su motivi discriminatori; un obiettivo che deve essere perseguito a prescindere dalla forma giuridica utilizzata per lavorare e che non può essere declinato a proprio piacimento dagli Stati membri. La Corte rinforza il concetto precisando che una cessazione involontaria dell’attività di un lavoratore autonomo deve essere considerata, ai fini della direttiva comunitaria, come un licenziamento fondato su motivi discriminatori.

Con riferimento alla seconda questione – la legittimità della normativa polacca che non include l’orientamento sessuale tra le discriminazioni che limitano la libertà del contraente - la Corte precisa che si pone in contrasto con la direttiva 2000/78 qualsiasi normativa nazionale che non sanziona l’eventuale rifiuto, fondato sull’orientamento sessuale, di concludere o di rinnovare un contratto di lavoro autonomo.

La pronuncia non modifica la normativa italiana (Dlgs 216/2003) che già include il lavoro autonomo nell’ambito della tutela anti-discriminatoria, ma sarà certamente utile a rafforzare l’applicazione concreta di tale disciplina.

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