Le brevi assenze senza timbratura giustificano il licenziamento
Assentarsi dal posto di lavoro per brevi periodi di tempo senza timbrare il cartellino può costare il licenziamento. La Corte di cassazione (sentenza n. 6174/19, depositata il 1° marzo scorso) ha infatti riconosciuto la legittimità del provvedimento espulsivo adottato da un'azienda nei confronti di un proprio dipendente che, a seguito di un'indagine investigativa condotta da un'agenzia esterna, era risultato essersi ripetutamente allontanato dal luogo di lavoro durante l'orario di servizio, senza peraltro timbrare il badge in uscita, così da figurare regolarmente presente in azienda.
Tale comportamento risulta idoneo ad integrare una giusta causa di recesso, considerato tanto l'elemento intenzionale legato all'inadempimento dell'attività lavorativa, quanto la sistematicità della condotta (che era stata riscontrata in tutti i casi in cui il dipendente era stato sottoposto a controllo) e il carattere fraudolento della stessa, in quanto volta ad indurre il datore di lavoro in errore circa l'effettiva presenza del dipendente sul luogo di lavoro.
A tal riguardo, non può peraltro ritenersi dirimente la circostanza, addotta dal lavoratore, che la durata delle assenze fosse piuttosto breve – essendo compresa tra 10 minuti e un'ora – e che lo stesso fosse solito recarsi al lavoro con 15-20 minuti di anticipo rispetto ai colleghi, in quanto in possesso delle chiavi dell'ufficio, senza poter tuttavia registrare i propri ingressi anticipati, essendo il badge attivo solo dopo una certa ora.
Sul punto, i giudici di legittimità hanno infatti evidenziato come l'abitudine di anticipare l'orario di arrivo sul posto di lavoro non possa valere quale esimente per il rispetto dell'orario di lavoro, dal momento che la disciplina di quest'ultimo risulta rimessa esclusivamente alle determinazioni datoriali, e non anche alla libera iniziativa del dipendente.
Parimenti inconferenti risultavano le doglianze del lavoratore sotto il profilo dell'illiceità dei controlli a distanza condotti dal datore di lavoro.
Secondo il ricorrente, questi ultimi sarebbero stati in contrasto con quanto disposto dagli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori, dal momento che le indagini non si erano limitate a registrare i suoi movimenti in entrata e in uscita dall'ufficio, ma avevano assunto la forma di un vero e proprio pedinamento, dal quale era emerso che lo stesso era solito recarsi al bar o presso la propria abitazione durante l'orario di servizio. Il lavoratore adduceva, all'inverso, come l'unico controllo possibile avrebbe dovuto essere quello da parte dei suoi superiori gerarchici, che nei fatti era in mancato, in uanto gli stessi mai si erano avveduti delle ripetute assenze.
La Corte di legittimità, nel rigettare tale motivo di ricorso, ha ribadito il proprio orientamento secondo cui “i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l'adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli articoli 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori”.
È noto, del resto, come le garanzie dettate da tali norme operino esclusivamente con riferimento all'esecuzione della attività lavorativa in senso stretto, non estendendosi, invece, agli eventuali comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione, i quali possono essere liberamente accertati dal personale di vigilanza o da terzi.
Alla luce di tale principio, le indagini investigative commissionate dall'azienda risultavano dunque pienamente ammissibili, in quanto dirette ad accertare la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge.
I giudici di legittimità hanno peraltro aggiunto come, nel caso di specie, non fosse configurabile alcuna violazione della privacy del dipendente, seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era stato effettuato in luoghi pubblici con la finalità di accertare le cause dell'allontanamento dal luogo di lavoro.
L'ordinanza n. 6174/19 della Corte di cassazione