Le imprese all’Ue: lotta al dumping sociale
La ripresa economica è l’occasione giusta per «riassorbire le sacche di disoccupazione» che ancora colpiscono vaste aree dell’economia europea. Ma se la «responsabilità primaria» di migliorare il funzionamento del mercato del lavoro spetta agli Stati nazionali, l’«Unione europea deve però contribuire a rafforzare il processo con le sue politiche per combattere il dumping sociale e promuovere standard comuni di protezione del lavoro nei paesi membri, inclusa una maggiore armonizzazione dei sistemi esistenti di salario minimo».
Nel giorno in cui la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager si è impegnata a valutare se nel caso di Embraco sono stati utilizzati fondi europei da parte della Slovacchia per finanziare nei fatti forme di dumping ai danni dell’Italia, le associazioni dell’imprenditoria italiana Abi, Ania, Assonime, Confindustria e Febaf firmano una «dichiarazione comune» in 11 punti per ribadire la loro posizione a favore dell’Europa indicando però anche alcune strategie e passi in avanti da fare per ridare slancio e vigore al progetto europeo: dal completamento dell’unione bancaria e del mercato dei capitali al rafforzamento della competitività attraverso investimenti pubblici e privati, da politiche di immigrazione lungimiranti e coerenti che non danneggino i Paesi che subiscono l’impatto iniziale alla necessità per l’Europa di sviluppare una «operatività militare» fino al rilancio degli eurobond e appunto a misure ad hoc per combattere il «dumping sociale». Un punto quest’ultimo (è il settimo nel documento), che in questi giorni è tornato con forza alla ribalta anche nel confronto tra Roma e Bruxelles. E su cui ora le associazioni imprenditoriali, tutte insieme, rivendicano la necessità di un impegno anche dell’Unione europea
Questa «dichiarazione comune sull’Europa e le politiche europee dell’Italia» - a cui Abi, Ania, Assonime, Confindustria e Febaf lavorano da alcune settimane e diffusa ieri in occasione del consiglio direttivo di Assonime - arriva non a caso a dieci giorni dalle elezioni e nasce fondamentalmente con lo scopo di ribadire con forza la volontà delle imprese italiane di schierarsi a difesa dell’Unione europea «che costituisce l’ancora irrinunciabile di pace, prosperità, democrazia e crescita per i suoi stati membri». Non solo dunque l’Ue non rappresenta «una minaccia per la sovranità nazionale» ma è secondo gli imprenditori lo strumento migliore «per proteggere efficacemente gli interessi dei suoi stati membri e dei suoi cittadini in un mondo globalizzato,in rapida trasformazione tecnologica e attraversato da tensioni geopolitiche». La soluzione dunque per il futuro dell’Italia «non è nel nazionalismo» e nella «chiusura in sé stessi». Ma in questo percorso anche l’Europa può e deve fare «passi significativi sulla strada dell’integrazione». Una «nuova fase» nella quale l’Italia ha «i titoli» per partecipare visto che - ricordano le associazioni - è la terza economia dell’eurozona ed è uno dei paesi fondatori dell’Unione europea: «Ciò però, richiede - rilevano le associazioni - che si presenti al tavolo con politiche credibili di rafforzamento della produttività delle industrie, di riduzione del peso del suo debito pubblico, di rafforzamento della sostenibilità ambientale e sociale dell’economia». Un richiamo alla credibilità per la politica che risuona forte già dalle Assise di Confindustria a Verona di venerdì scorso.
Gli 11 punti e la dichiarazione comune delle imprese