Le verifiche prima del recesso per giustificato motivo oggettivo
Il quadro delle tutele spettanti a un lavoratore illegittimamente licenziato per giustificato motivo oggettivo è assai mutato con il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, che disciplina il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, le cui disposizioni si applicano nei seguenti casi:
a) operai, impiegati o quadri, assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;
b) conversione, sempre dal 7 marzo 2015, di contratto a termine o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato;
c) tutti i dipendenti (assunti sino al 6 marzo 2015 o anche dopo), se il datore, in conseguenza di nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute a partire dal 7 marzo, integri il requisito occupazionale ex art. 18, co. 8 e 9, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (ossia, nella maggioranza dei casi, assuma il 16° dipendente nell'unità produttiva o nel comune in cui avviene il recesso).
Capire se si tratta di un lavoratore soggetto (o meno) al contratto a tutele crescenti è di grande importanza, posto che in questo caso non è più necessario attivare la procedura – disciplinata dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 - per il tentativo di conciliazione presso la DTL. Per gli altri lavoratori, invece, e quindi per quelli già in servizio al 6 marzo 2015 presso un datore con oltre 15 dipendenti, tale procedura resta obbligatoria: la sua violazione (se il licenziamento è dichiarato legittimo da parte del giudice) è punita dall'articolo 18, co. 6, della legge 20 maggio 1970, n. 300, con l'attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra 6 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Superato tale scoglio procedurale, va ricordato che, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 604/1966, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con preavviso è determinato da ragioni inerenti l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il suo regolare funzionamento.
Ogni considerazione circa la fondatezza di un recesso per giustificato motivo oggettivo deve però partire dall'articolo 41 della Costituzione, che garantisce la libertà dell'iniziativa economica privata; con la conseguenza che il datore è libero di organizzare la propria attività nel modo più opportuno, compiendo le conseguenti scelte organizzative e produttive, fermi i principi di correttezza e buona fede. La giurisprudenza ha ravvisato il giustificato motivo oggettivo (tra gli altri) in questi casi: riduzione del personale conseguente a crisi; riassetto organizzativo per la gestione più economica dell'attività aziendale; diminuzione del fatturato; riorganizzazione dell'azienda; soppressione del posto, del settore o del reparto; cessazione dell'attività aziendale.
A fronte dell'esistenza di una situazione che configuri il giustificato motivo oggettivo, per evitare di perdere la causa, il datore dovrà dimostrare, se il licenziamento viene impugnato: la sussistenza delle ragioni addotte a fondamento del recesso, il nesso di causalità (ossia che il lavoratore svolgeva la mansione che è stata soppressa) nonché l'impossibilità di adibirlo utilmente a mansioni diverse con riguardo alla complessiva organizzazione aziendale in essere all'atto del licenziamento: si tratta del cd. onere di repêchage. E' quindi consigliabile, prima di procedere alla risoluzione del rapporto, valutare bene tali elementi, che dovranno poi essere adeguatamente dimostrati al giudice.
A questo punto, se le motivazioni sussistono, e il repêchage non è possibile, ovvero se l'offerta alternativa di impiego è stata rifiutata dal lavoratore, il datore può procedere (se la procedura in DTL è stata inutilmente esperita o se egli non vi è obbligato) comunicando il licenziamento in forma scritta e fornendo contestualmente la specificazione dei motivi (anch'essi in forma scritta).
La violazione della forma scritta comporta in ogni caso, a prescindere dall'organico occupato, la reintegrazione del dipendente, unitamente a un'indennità economica minima pari a 5 mensilità dell'ultima retribuzione. La violazione dell'obbligo di motivazione è invece così sanzionata:
a) lavoratori soggetti al contratto a tutele crescenti: 1 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità (la metà nelle PMI);
b) tutti gli altri dipendenti (datore di lavoro “grande”): da 6 a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Infine, nel caso in cui il giudice dichiari illegittimo il recesso, si avranno le conseguenze previste dall'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604; dell'articolo 18 della legge 20 magio 1970, n. 300; ovvero quelle di cui al nuovo decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23; fermo restando che – per i soli lavoratori soggetti al contratto a tutele crescenti – una possibile via di uscita è costituita dalla nuova offerta di conciliazione, ai sensi di quanto previsto dall'art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015.