Contenzioso

Licenziamento discriminatorio se si è indagato solo sul sindacalista

L’attività svolta dal dipendente è un fattore di rischio in una azienda con forte conflittualità

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

Se le indagini investigative sono state dirette solo nei confronti di un componente della Rsu e non hanno coinvolto i colleghi di lavoro addetti alle stesse mansioni, il licenziamento per giusta causa è discriminatorio e comporta la reintegrazione in servizio del dipendente.

In un contesto aziendale caratterizzato da accesa conflittualità sindacale, assume rilievo determinante la circostanza che le indagini investigative, pur avendo a oggetto la verifica di elementi contrattuali pertinenti a una pluralità di dipendenti, siano state promosse solo nei confronti del lavoratore che aveva responsabilità sindacali.

L'attivismo sindacale è un fattore di rischio che, in mancanza di una prova convincente sulle ragioni che avevano indotto ad avviare le indagini investigative proprio nei confronti del componente della Rsu, valorizza il sospetto che l'iniziativa disciplinare datoriale, poi sfociata nel licenziamento, sia stata determinata da un intento persecutorio «legato all'attività sindacale sgradita svolta dal lavoratore».

Sulla scorta di questi rilievi, la Cassazione (ordinanza 2606/2023) conclude per la natura discriminatoria del licenziamento e conferma che l'iniziativa datoriale, proprio perché adottata isolatamente nei confronti del solo delegato in un ambiente «particolarmente conflittuale», vada inscritta tra le azioni ritorsive promosse per colpire il dipendente a causa della sua affiliazione e attività sindacale.

La Cassazione si sofferma sulla ripartizione dell'onere della prova nella specifica materia antidiscriminatoria e osserva che, al lavoratore, è sufficiente allegare il fattore di rischio e la sua correlazione con il trattamento meno favorevole subito rispetto ad altri colleghi comparabili. In tal caso, è il datore di lavoro a dover dimostrare, in modo inequivocabile e particolarmente rigoroso, che è esclusa la natura discriminatoria del licenziamento. In mancanza di «circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria del recesso», si deve concludere per la nullità del licenziamento per violazione di specifiche norme (di diritto interno e comunitario) che prevedono il divieto di discriminazione nei rapporti di lavoro.

Il caso sul quale si è pronunciata la Suprema corte è relativo al licenziamento per giusta causa di un informatore scientifico del farmaco, che la società aveva deciso alla conclusione di indagini investigative da cui erano emerse incongruenze e anomalie nell'orario di lavoro e nei rimborsi spese. Il dipendente aveva impugnato il licenziamento, asserendo che la società aveva voluto colpirlo per la sua attività sindacale, sia in quanto aveva collegato il suicidio di un collega allo stress lavorativo, sia per il contenzioso giudiziale che ne era seguito (incluso un ricorso per condotta antisindacale promosso dalla sigla di cui il lavoratore era componente della Rsu).

In appello, l'insieme di questi elementi aveva indotto il collegio a ritenere il licenziamento discriminatorio, valorizzando in particolare la circostanza che destinatario delle investigazioni, pur a parità di mansioni con altri lavoratori, era stato il solo delegato sindacale. La società ha impugnato la sentenza osservando, tra l'altro, che le ragioni poste a fondamento del recesso erano state effettivamente riscontrate dalle indagini svolte.

La Cassazione ha rigettato questa argomentazione, osservando che il carattere discriminatorio del licenziamento non viene meno se a integrare il recesso ha concorso un'altra legittima finalità. Pertanto, attesa la correlazione di vari elementi identificativi dell'affiliazione e dell'attività sindacale del lavoratore e l'incidenza nel quadro conflittuale maturato in azienda, la Suprema corte ha concluso per la natura discriminatoria del licenziamento.

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