Limiti dei contratti a termine valutabili anche a tempo scaduto
Per la Cassazione il giudice può tenere comunque contodi quelli non più impugnabili. Sì all’accertamento quando l’impugnazione sia possibile solo per l’ultimo contratto
Il superamento dei limiti massimi di durata del contratto a termine può invalidare il rapporto anche se il lavoratore è decaduto dalla possibilità di impugnare gli accordi antecedenti all’ultimo impugnato: la Corte di cassazione, nel solco di una consolidata tradizione interpretativa, offre una lettura restrittiva delle norme che regolano il lavoro a tempo determinato (sentenza 15226/2023 del 30 maggio scorso).
La vicenda riguarda un lavoratore che ha impugnato un contratto a termine e i numerosi precedenti rapporti intrattenuti con lo stesso datore di lavoro, invocando il superamento dei limiti massimi di durata previsti dalla normativa allora vigente (il Dlgs 81/2015, nella versione originaria). Questo lavoratore aveva rispettato il termine di decadenza previsto dalla legge per impugnare i contratti a termine (60 giorni dalla fine del rapporto) solo per l’ultimo accordo; la Corte d’appello di Brescia, tenendo conto di questo fatto, ha eccepito la decadenza dall’impugnazione respingendo ogni domanda connessa.
La Cassazione rivede in parte questa decisione. Da un lato, conferma che l’impugnazione dell’ultimo contratto di lavoro non ha una «capacità espansiva» tale da estendere il gravame anche ai contratti precedenti non impugnati tempestivamente. Pertanto, l’impugnazione dell’ultimo contratto non si estende ai contratti precedenti, nemmeno ove tra un contratto e l’altro sia decorso un termine inferiore a quello necessario per impugnare.
Dopo aver affermato questo principio, la Corte di legittimità si interroga su quali spazi abbia il lavoratore per far valere, anche in presenza di una decadenza, il ricorso abusivo al lavoro a termine, dovuto a un’eccessiva reiterazione dei rapporti. Questa analisi viene condotta partendo dal principio generale del nostro ordinamento (e del diritto comunitario), secondo il quale il contratto di lavoro è normalmente a tempo indeterminato, mentre il rapporto a termine resta un’ipotesi eccezionale.
A fronte di questo principio, il Giudice deve interrogarsi sull’effetto che possono avere i ripetuti rapporti a termine ai fini dell’aggiramento delle norme comunitarie che impongono il contenimento del lavoro a termine entro determinati limiti di durata e di quantità. A tale riguardo, la Corte ritiene che l’esistenza storica di rapporti pregressi possa e debba essere considerata ai fini della valutazione circa la natura effettivamente temporanea delle ragioni di ricorso al lavoro a termine, anche nel caso in cui sia intervenuta la decadenza dalla possibilità di impugnare tali rapporti.
In altre parole, secondo la Cassazione non è precluso l’accertamento dell’abusiva reiterazione dei contratti a termine quando l’impugnazione si sia rivolta validamente solo contro l’ultimo contratto di una serie, mentre sia intervenuta la decadenza per quelli precedenti.
Rispetto a questi rapporti, infatti, la decadenza impedisce al lavoratore di procedere con azione diretta, ma nulla vieta al Giudice di tenere conto della loro esistenza, come antecedenti storici utili a valutare se c’è stata una reiterazione abusiva di rapporti e il relativo superamento dei limiti massimi di durata fissato dalla legge.
Questa interpretazione conferma l’approccio restrittivo della giurisprudenza sul lavoro a tempo e deve essere tenuta in considerazione ogni volta che si interpretano le norme, vecchie e nuove, che regolano questa importante forma di flessibilità, per evitare spiacevoli sorprese in caso di contenzioso.