Minimali contributivi inderogabili nel contratto di prossimità
Con l’interpello 8/2016 l’Associazione nazionale consulenti del lavoro ha chiesto la corretta interpretazione dell'articolo 8 del Dl 138/2011 relativamente all'imponibilità, ai fini contributivi, di eventuali livelli di retribuzione fissati dai contratti di prossimità che siano di importo inferiore ai minimi contributivi sanciti dall'articolo 1 della legge 338/1989. È stato inoltre richiesto se il rispetto di tale contratto, in deroga al Ccnl, possa avere la stessa valenza in riferimento al requisito del “rispetto del contratto collettivo nazionale” ai fini dell'applicazione di eventuali agevolazioni contributive.
Il ministero del Lavoro in risposta analizza in prima battuta il comma 1 dell'articolo 8 del Dl 138/2011 nel quale è stabilito che, al fine di incrementare i livelli occupazionali, i contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (…), possono realizzare specifiche intese che abbiano efficacia per tutti i lavoratori interessati. Al comma due sono ben identificate quali siano le «specifiche intese» che possono essere sottoscritte e che comunque hanno efficacia esclusivamente tra le parti e non possono riguardare gli istituti previdenziali.
Tra le intese trova posto la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:
a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
d) alla disciplina dell'orario di lavoro;
e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite Iva, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
Nessun riferimento viene fatto al trattamento retributivo minimo, ma al comma 2 bis viene ribadito il rispetto della Costituzione che, per ciò che interessa, all'articolo 36, sancisce il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Nella risposta viene inoltre citata la sentenza della Corte di cassazione sezioni unite civili numero 11199/2002 ove è affermato che una retribuzione imponibile non inferiore a quella minima è necessaria ai fini dell'assolvimento degli oneri contributivi utili alle finalità assicurative e previdenziali.
Il ministero conclude che per fruire dei benefici normativi e contributivi vige il rispetto di quanto stabilito dall'articolo 1, comma 1175 della legge 296/2006 che, oltre al possesso del Durc richiede non solo il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché regionali, territoriali o aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, ma anche l'osservanza degli altri obblighi di legge.
In definitiva, se non si rispettano gli obblighi relativi alla determinazione della retribuzione imponibile fissata dalla normativa vigente in materia, rispetto ai quali il contratto di prossimità non può derogare, non si può neppure fruire dei benefici normativi e contributivi.