ApprofondimentoContenzioso

Molestie sessuali in contesto lavorativo e di recidiva e giusta causa di licenziamento

di Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

N. 12

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Il nostro ordinamento qualifica in termini di discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima degradante, umiliante ed offensivo; evidenzia che il baricentro della tutela contro le discriminazioni sessuali poggia – congiuntamente - sul rilievo del contenuto oggettivo della condotta, nonché sulla percezione soggettiva della stessa da parte della vittima, mentre non è necessaria l'intenzione soggettiva di infliggere molestie da parte dell'autore (il suo "animus")

Massima

  • Molestie sessuali – contesto lavorativo e recidiva – aggravamento – sussiste – rispetto della dignità dei colleghi – non discriminazione – valori radicati nella coscienza sociale e nell'ordinamento – giusta causa di licenziamento - sussiste

    La condotta del lavoratore consistente in molestie sessuali verso una collega, aggravata dal contesto lavorativo e dalla recidiva, integra gli estremi della giusta causa di licenziamento. Il rispetto della dignità dei colleghi e l'adesione ai principi di non discriminazione e tutela contro le molestie sessuali sono valori radicati nell'ordinamento e nella coscienza sociale, determinando la proporzione e legittimità della sanzione espulsiva.

Riepilogo dei fatti di causa e della vicenda di merito

Un lavoratore dipendente di una società per azioni riceveva, nell'ormai lontano inverno del 2017, una serie di contestazioni disciplinari, cui seguiva la comunicazione ove si confermava l'opinamento della destituzione ai sensi dell'art. 53 r.d. n. 148/1931.

Il lavoratore impugnava il provvedimento espulsivo lamentandone molteplici vizi formali e sostanziali, oltre alla insussistenza dei fatti contestati; costituitosi il contraddittorio, il Tribunale di Bologna, nella fase sommaria del giudizio c.d...

  • [1] In tale pronuncia le Sezioni Unite hanno espresso la seguente massima di diritto: "La responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell'ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l'abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell'azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione."