Contenzioso

Niente Cigo in caso di fusione

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di Guglielmo Saporito

Difficile ottenere un’ integrazione salariale per l’impresa che affermi di essere in crisi ma poco prima si sia fusa, incorporando altra impresa: questo è l’orientamento del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento , espresso nella sentenza 13 aprile 2017, n. 135.

Per le leggi 164/1975 e 148/2015 c’è integrazione salariale ordinaria quando vi sia una situazione di temporanea crisi produttiva, per eventi transitori e contingenti, fuori dalle possibilità di controllo dell’imprenditore; diversamente, l’istituto si tradurrebbe in un meccanismo automatico di socializzazione del rischio di impresa . Vi può quindi essere una socializzazione del costo del lavoro per circostanze non prevedibili dall’imprenditore, per fatti naturali (condizioni stagionali impeditive dell’ordinario andamento dell’attività d’impresa), o per fatti umani esterni, che sfuggono all’ordinaria diligenza nella gestione dei fattori di impresa. Quindi, non vi è cassa integrazione se vi sono errori di progettazione (Consiglio di Stato, 8129/2010), e nemmeno quando vi sono inadempimenti contrattuali di soggetti terzi (Consiglio di Stato, 6512/2011), perché questi casi rientrano nel cosiddetto rischio d’impresa.

La vicenda esaminata in Trentino riguarda un’azienda del settore produzione e commercio di materiali stampati a caldo, che aveva incorporato un’altra società operante nel medesimo settore. Nel progetto di fusione si era chiarita l’esistenza di un programma di riorganizzazione societaria razionalizzando le attività svolte e accentrandole sotto un unico soggetto imprenditoriale, con diminuzione dei costi gestionali ed amministrativi: in conseguenza, l’incorporante era subentrata nelle posizioni della società incorporata e 20 dipendenti dell’incorporata erano stati trasferiti negli stabilimenti della incorporante. Quattro mesi dopo l’incorporante aveva presentato all’Inps due domande di Cig ordinaria, una per 61 lavoratori (di cui 16 ex dipendenti dell’ incorporata) impiegati presso lo stabilimento dell’incorporata, e una per 45 lavoratori (di cui 4 ex dipendenti dell’incorporata) impiegati presso lo stabilimento dell’incorporante, ambedue motivate da una flessione di mercato con conseguente calo di commesse e contrazione dell’attività produttiva.

Il dubbio risolto dai giudici riguarda gli effetti della operazione di fusione perché l’articolo 2504-bis del Codice civile prevede una neutralità della fusione stessa (prosecuzione di tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione): ma nel caso Trentino la fusione ha ostacolato la richiesta di Cig perché la società incorporante, nell’assorbire l’altra società, aveva posto in rilievo l’obiettivo di attuare un programma di riorganizzazione societaria, razionalizzando e accentrando attività svolte sotto un unico soggetto imprenditoriale, con conseguente diminuzione dei costi gestionali ed amministrativi.

Secondo i giudici, se vi è un potenziamento aziendale, rientra nel rischio di impresa la possibilità che, nei primi tempi successivi alla fusione, la società incorporante si venga a trovare in una situazione di esubero del personale, a causa di un incremento della forza lavoro non compensato da un corrispondente incremento delle commesse. Per accedere alla cassa integrazione, l’incorporante, a supporto delle proprie domande, avrebbe dovuto semmai dimostrare che la fusione era connessa all’esistenza di nuove commesse, di entità tale da richiedere un maggior numero di lavoratori, e che tali commesse erano poi venute meno.

La sentenza 135/17 del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento

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