Previdenza

Pensioni, 400mila in pagamento da più di 40 anni

Secondo Itinerari previdenziali è necessario ridurre subito i canali di uscita anticipata e non abbassare l’età

di Marco Rogari e Mariolina Sesto

Il sistema previdenziale, al netto del peso dell’assistenza, si presenta ancora sostenibile. Superata la fase emergenziale del Covid, il rapporto attivi-pensionati ha fatto registrare una risalita attestandosi a quota 1,4215 grazie alle ripresa dell’occupazione. Ma non mancano altri indicatori “sensibili”, come le quasi 400mila pensioni che attualmente l’Inps paga da più di 40 anni. Secondo il decimo rapporto del Centro studi e ricerche “Itinerari previdenziali”, si tratta di un equilibrio fragile che potrebbe rompersi senza «scelte oculate» sull’età di pensionamento e sui canali di uscita anticipata, come ad esempio le cosiddette “Quote” o altre deroghe alla legge Monti-Fornero. Che andrebbero ridotte già nel 2023. Per il presidente di “Itinerari previdenziali”, Alberto Brambilla, «è giunto il momento di darsi regole certe per almeno i prossimi 10 anni, limitando le anticipazioni, bloccando l’anzianità contributiva e soprattutto equiparando le regole di pensionamento dei cosiddetti “contributivi puri” a quelle degli altri lavoratori».

Nel rapporto si afferma che, dopo un trend positivo avviatosi nel 2009 e proseguito in modo costante fino al 2018 per effetto delle ultime riforme previdenziali con cui sono stati innalzati gradualmente requisiti anagrafici e contributivi, il numero di pensionati si mostra di nuovo in risalita: i percettori di assegno pensionistico sono risultati 16.098.748 nel 2021 mentre nel 2020 erano 16.041.202. Un incremento dello 0,36% «ascrivibile alle numerose vie d’uscita in deroga alla Fornero introdotte dal 2014 in poi e culminate nel 2019 nell’introduzione di Quota 100, ma comunque inferiore a quanto ci si aspettasse dopo la ripetuta conferma degli ultimi anni di vari provvedimenti finalizzati all’anticipo pensionistico (Ape sociale, Opzione donna, etc.), anche in virtù della contestuale e numericamente significativa cancellazione di molte prestazioni di lunga decorrenza».

Il dossier si sofferma anche sulle 399.686 pensioni che nel 2021 risultavano con oltre 42 anni di decorrenza (181.418 sono state liquidate per invalidità o inabilità. Nel rapporto si fa notare sono 353.779 i trattamenti previdenziali del settore privato che sono stati erogati quando al Quirinale c’era Pertini e Ronald Reagan non si era ancora insediato alla Casa Bianca. Il decremento rispetto all’anno precedente, quando se ne contavano 423.009, è stato del 16,4%: si tratta di 69.230 prestazioni eliminate, «parte delle quali anche a causa del nuovo coronavirus, i cui esiti si sono manifestati più severamente nei confronti degli over 65».

“Itinerari previdenziali” osserva anche che, nonostante l’incremento del numero di pensionati, con il miglioramento della situazione occupazionale si attesta a 1,4215 il rapporto attivi-pensionati, anche se resta di «quell’1,5 già indicato nelle precedenti pubblicazioni come soglia minima necessaria per la stabilità di medio-lungo termine del sistema».

Nel rapporto si afferma che il sistema previdenziale italiano, se alleggerito dalla componente assistenziale, si presenta sostenibile ma a patto che dal 2023 si riducano le numerose forme di anticipazione pensionistica a favore di una revisione equa, stabile e soprattutto duratura. «Negli ultimi anni – ha sottolineato Alberto Brambilla - la discussione politica si è concentrata quasi esclusivamente sulle formule per accedere con anticipo al pensionamento. Con il risultato di introdurre sì flessibilità, ma anche di vanificare buona parte di quei risparmi che la riforma Monti-Fornero mirava a ottenere». Secondo il presidente di “Itinerari previdenziali” «è giunto il momento di darsi regole certe per almeno i prossimi 10 anni» anzitutto «limitando le anticipazioni a pochi ma efficaci strumenti, come fondi esubero, isopensione e contratti di solidarietà (riportando però l'anticipo a un massimo di 5 anni)». Il tutto guardando con attenzione alle «età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (circa 63 anni l’età effettiva in Italia contro i 65 della media europea) nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale, che dovranno dunque gradualmente aumentare» per non mettere a rischio tra 15 anni l’equilibrio del sistema.

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