Previdenza

Per le pensioni d’oro stretta in manovra, quota 100 a febbraio

di Davide Colombo e Marco Rogari

La “correzione” degli assegni più elevati sarà in legge di Bilancio e non nel decreto fiscale. E dovrà garantire un miliardo di risparmi nei primi tre anni di applicazione. Il meccanismo individuato prevede un raffreddamento dello schema di indicizzazione degli assegni all’inflazione. Con la manovra scatterà anche “quota 100”, operativa dal mese di febbraio secondo quanto ha assicurato la Lega in serata. Anche se, con il dispositivo di quattro finestre di uscita immaginato dai tecnici dell’esecutivo, il decollo effettivo scatterebbe a marzo. È questo il compromesso maturato ieri pomeriggio dopo la moral suasion del Quirinale e la lunga giornata di vertici a palazzo Chigi, nel corso della quale si erano diffuse le voci di una stretta alle pensioni “d’oro” con il provvedimento urgente sulla pace fiscale. Voci poi smentite dal Carroccio.

Trovata la quadratura del cerchio sugli assegni più elevati, quelli che il progetto di legge D’Uva-Molinari indica oltre i 4.500 euro netti al mese, la maggioranza ha quasi completato il set di regole per “quota 100”. Secondo una delle ultime opzioni, per arrivare ai 38 anni necessari si potrà utilizzare anche il cumulo gratuito dei versamenti effettuati in gestioni diverse utilizzando lo strumento varato lo scorso anno e adottato da circa 17mila pensionandi nei primi cinque mesi di quest’anno. Riguardo alle finestre, invece, ieri fonti Inps hanno fatto sapere che l’istituto non ha avanzato alcuna richiesta del genere, pur confermando le difficoltà operative. Una situazione oggettiva, dati gli organici ridotti con cui lavora l’Ente. Restano in campo, invece, la proroga di “opzione donna” fino al 2021 e dell’Ape sociale.

Su “quota 100” lo schema non cambia: i due requisiti minimi restano i 62 anni di età e i 38 di contributi effettuati. Non è stato ancora confermata la possibilità di scontare uno o due anni di contribuzione figurativa, mentre si rimanderà a norme secondarie l’attuazione dei fondi di solidarietà con cui le imprese potranno, volontariamente, finanziare le contribuzioni mancanti per le uscite di lavoratori senior. Resta in campo l’ipotesi, poi, di un parziale divieto di cumulo tra reddito da lavoro e pensione ma solo per i primi due anni dopo il ritiro.

Le nuove anzianità potrebbero essere anticipate da una “pace contributiva” a maglie larghe (come già scritto dal Sole24Ore), vale a dire la possibilità di rimborsare in cinque anni senza interessi e more i mancati versamenti negli anni dopo il 1996. Secondo fonti vicine al dossier la massa di mancati pagamenti aggredibile è di alcune decine di miliardi. Questo “condono” potrebbe arrivare con il decreto fiscale, al più tardi con un emendamento da inserire in Parlamento.

Tornando all’annunciato “taglio dei privilegi”, ovvero la correzione degli assegni sopra a un certa quota, vale ricordare che la stima di un miliardo in tre anni resta molto superiore ai 150 milioni annui indicati nell’audizione di venerdì dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, pur con qualche modifica rispetto al testo parlamentare (il taglio per circa 30mila pensionati arriverebbe in questo caso a punte massime del 23%, mentre in media sarebbe dell’8%). Per raggiungere l’obiettivo si dovrà dunque lavorare sulle soglie minime e, come detto, puntare su un meccanismo diverso e ritenuto dal governo più equo: un parziale congelamento dell’indicizzazione, che secondo le norme attuali dal primo gennaio 2019 dovrebbe tornare piena superando gli attuali blocchi al 50% sulla quota di pensione compresa tra 5 e 6 volte il trattamento minimo Inps e al 45% sulla quota superiore a 6 volte il minimo. Ieri, infine, sono state confermate voci di preoccupazione del Colle sulla sostenibilità dei costi legati al Tfr da pagare ai dipendenti pubblici che coglieranno “quota 100”.

Vedi il grafico: Nella legge di bilancio

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