Contenzioso

Per il ricorso giudiziario sul licenziamento i 180 giorni decorrono dalla lettera di impugnazione

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di Aldo Calza


Con sentenza del 13 ottobre 2014 il Tribunale di Lecce ha confermato il principio, già in precedenza affermato dalla giurisprudenza di merito (Tribunale di Torino, ordinanza del 3 maggio 2014), secondo cui il termine di decadenza di 180 giorni per la proposizione del ricorso giudiziario previsto, per l'impugnazione del licenziamento, dall'art. 6 della Legge n. L. n. 604/1966 (come modificata dalla L. 183/2010 e dalla L. n. 92/2012) decorre dalla data di spedizione della lettera di impugnazione del licenziamento e non dunque dalla data di ricezione di quest'ultima da parte dell'azienda.
Il principio, che per i puristi rappresenta un vero obbrobrio giuridico, trae spunto dalla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito secondo la quale entro il termine di 60 giorni per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento è sufficiente spedire la relativa comunicazione e non è invece necessario attendere che, entro tale termine, la medesima venga ricevuta da parte dell'azienda.
Sul piano del diritto l'obbrobrio sta nel fatto che la lettera di impugnazione del licenziamento è, all'evidenza, un atto unilaterale recettizio e in quanto tale, in base al principio espresso dall'art. 1334 cod. civ., produce effetto dal momento in cui perviene a conoscenza del destinatario; fino ad allora, l'atto unilaterale è privo di qualunque effetto.
Nella foga di voler a tutti i costi tutelare i diritti dei lavoratori, soprattutto di quelli “ritardatari”, la giurisprudenza è come detto giunta a una sorta di “abrogazione tacita” della sopra citata norma.
In sostanza, secondo il singolare principio giurisprudenziale sopra citato, la lettera di impugnazione del licenziamento attraversa due distinte fasi di efficacia, una prima fase che intercorre da quando la stessa viene spedita a quando giunge al destinatario (in questa fase, la lettera ha effetto solo per chi la spedisce), e una seconda fase che intercorre da quando la lettera giunge nella disponibilità del destinatario in poi (in questa seconda fase, la lettera ha effetto per entrambe le parti).
Applicando il medesimo singolare principio della “doppia vita” degli atti unilaterali, il termine di decadenza per il deposito del ricorso giudiziario viene ora collegato, dalla giurisprudenza di merito, a un atto giuridicamente privo di qualunque effetto, ex art. 1334 cod. civ., ossia alla lettera di impugnazione del licenziamento spedita ma non ancora ricevuta.
Questo, a dire dei giudici, per dare certezza al lavoratore ai fini del calcolo del termine di decadenza, non potendosi far risalire la tempestività del deposito di un ricorso, e dunque la ammissibilità di un giudizio, ad adempimenti lasciati alla buona volontà e diligenza di terzi (le poste, per intenderci) e non potendosi dunque far decorrere il periodo entro il quale il licenziamento può essere impugnato giudizialmente dalla data di ricezione dell'atto da parte dell'azienda.
Nella sentenza in esame, il concetto di “dare certezza al lavoratore” ha “ovviamente” significato … dargli la certezza della soccombenza, in quanto dalla applicazione del suddetto principio è derivato l'accertamento della tardività del deposito del ricorso e la conseguente inammissibilità dell'azione giudiziaria.
Ecco come, per una singolare (e quasi doverosa) nemesi, un principio giuridicamente assurdo, perorato e ottenuto dai lavoratori, si è rivoltato contro di loro. Chi rompe paga, vien da dire, e i cocci sono suoi.

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