Contenzioso

Previdenza complementare, posizioni mai pignorabili anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro

Semaforo rosso della Cassazione anche se l’interessato non ha espresso alcuna opzione di utilizzo

immagine non disponibile

di Silvano Imbriaci

Con l'ordinanza 9249/2023 del 4 aprile scorso, la sezione lavoro della Corte di cassazione offre una soluzione interpretativa convincente a un problema che si può verificare con una certa frequenza, nel caso in cui siano oggetto di un pignoramento presso terzi somme accumulate presso una cassa di previdenza aziendale di un istituto di credito, a titolo di contribuzione in funzione del trattamento pensionistico complementare per il personale dell'istituto stesso.

La questione giunge all'attenzione della Cassazione in quanto occorre esaminare quali siano gli effetti della cessazione del rapporto di lavoro (per licenziamento) di un dipendente con la connessa e automatica cessazione dei requisiti di partecipazione alla previdenza complementare (ed eventuale possibilità di trasferimento della posizione o di riscatto in base all’ articolo 14 del Dlgs 252/2005 in materia di permanenza nella forma pensionistica complementare e cessazione dei requisiti di partecipazione e portabilità).

In particolare, nel caso in cui non si verifichi il trasferimento ad altra posizione pensionistica complementare, oppure non sia esercitato il diritto di riscatto, le somme giacenti possono essere oggetto di pignoramento o devono considerarsi ancora in fase di accumulo? In sostanza, occorre verificare se la situazione che si crea dopo la cessazione del rapporto di lavoro e quindi la cessazione dei requisiti di adesione a quel fondo, consente di derogare alla regola della impignorabilità delle posizioni individuali costituite presso i fondi pensione attraverso la contribuzione individuale ed eventuali quote di Tfr (anche se per questa forma di provvista la Cassazione - 19708/2018- esprime qualche dubbio).

L'articolo 11 del Dlgs 252/2005 prevede espressamente, al comma 10, l'intangibilità delle posizioni individuali costituite presso i fondi pensione, in fase di accumulo, mentre le prestazioni pensionistiche in capitale e rendita e le anticipazioni sono sottoposte agli stessi limiti in vigore per i trattamenti pensionistici a carico degli istituti di previdenza obbligatoria. Secondo la Cassazione, la questione si risolve in punto di applicabilità, al caso specifico, di una regola che l'ordinamento della previdenza complementare già prevede in simili evenienze.

L'articolo 14, comma 2, lettera c-bis (introdotto con Dlgs 88/2018) dispone, infatti, il mantenimento della posizione individuale in gestione presso la forma pensionistica complementare anche in assenza di ulteriore contribuzione. Tale opzione trova automatica applicazione in difetto di diversa scelta da parte dell'iscritto e fatta salva l'ipotesi di valore della posizione individuale maturata, non superiore all'importo di una mensilità dell'assegno sociale; in questo caso le forme pensionistiche complementari informano l'iscritto, conformemente alle istruzioni impartite dalla Covip, della facoltà di esercitare il trasferimento ad altra forma pensionistica complementare, ovvero di richiedere il riscatto con le modalità di cui al comma 5 dello stesso articolo 14.

Secondo la sezione lavoro, nonostante la norma non possa essere applicata ratione temporis, essa esprime comunque un principio e una regola immanente all'ordinamento anche prima del 2018. Una volta che sia cessata la partecipazione a una forma di previdenza complementare, la posizione individuale non si converte in posizione previdenziale in modo automatico, in assenza di scelta sulla portabilità o sul riscatto. La posizione individuale continua a essere in fase di accumulo, perché è sempre possibile che, nel tempo, scaturisca l'interesse o la possibilità di implementare future prestazioni pensionistiche, in ragione di eventuali altre attività lavorative che il soggetto può intraprendere dopo il licenziamento. Non è rilevante il fatto che l'interessato non abbia espresso alcuna opzione, anche per un lungo periodo.

Rendere la posizione individuale come immediatamente aggredibile comporta, infatti, il rischio di un possibile pregiudizio sulla posizione pensionistica complessiva, se non altro perché, al di là del riscatto, che non costituisce scelta coercibile, per poter esercitare la portabilità della posizione individuale occorre trovare una nuova occupazione che consenta tale meccanismo. Insomma, secondo la Cassazione la posizione individuale nel frattempo maturata è consolidata, e conserva una sua integrità, indipendentemente dalla mancata scelta, con conservazione della intangibilità delle quote versate all'interno del fondo di previdenza complementare iniziale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©