Adempimenti

Primi confronti sul lavoro, il reddito non si tocca

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di Davide Colombo e Claudio Tucci

In attesa che le forze politiche decidano i prossimi passi da compiere, dopo le dimissioni ieri del premier, Giuseppe Conte, i “pontieri” dei rispettivi gruppi provano a ragionare su possibili “punti di contatto” che possano, eventualmente, consentire l’avvio di un qualche confronto nel merito. Certo, le variabili, al momento, sono tante; e anche paletti e distinguo su singole misure non mancano.

Sul capitolo lavoro, a livello tecnico, l’ipotesi di un asse M5S-Pd porterebbe alla conferma della misura cardine grillina, cioè il reddito di cittadinanza (Rdc). Lo strumento, nei fatti, è un potenziamento del reddito d’inclusione (Rei), introdotto proprio dal centro-sinistra in chiave anti-povertà, seppur connotato anche da una veste “di politica attiva” (accanto a quella più “assistenzale” a vantaggio dei nuclei bisognosi). Il Rdc resterebbe, quindi, in piedi, semmai potrebbe essere migliorata la parte di “politica attiva”, di inserimento cioè al lavoro dei percettori dell’assegno, finora rimasta al palo perché troppo confusa e soprattutto poco attrattiva per le aziende. Punti di contatto, nell’eventuale trattativa M5S-Pd, ci potrebbero essere pure sul salario minimo, magari partendo da un commissione di esperti che studino i singoli Ccnl per evitare possibili “effetti spiazzamento” derivanti da un intervento generalizzato imposto ex lege. «Sul lavoro ci sono tre esigenze - commenta Marco Leonardi, ex consigliere economico dei governi Renzi e Gentiloni, professore alla Statale di Milano -. Vale a dire: aumentare i salari, puntare sulla formazione, far decollare le politiche attive». Il Rdc resterebbe in piedi anche nell’ipotesi di un governo giallo-verde bis; e, probabilmente, anche nel caso di un esecutivo “istituzionale”. L’eventuale asse M5S-Pd aprirebbe una discussione pure sul decreto dignità, che ha introdotto una forte stretta su contratti a termine e in somministrazione (anche se i margini per modifiche sarebbero stretti).

Sul fronte pensioni, invece, la partita su Quota 100 è più aperta. Non è un mistero che le misure di flessibilità pensionistica introdotte l’anno scorso - su input della Lega - sono le più criticate dalla Commissione europea perché rappresentano una decisiva deviazione verso l’alto della spesa previdenziale rimettendone in discussione la sostenibilità. In caso di governo M5S-Pd, ci potrebbe essere un tentativo di revisione in senso restrittivo di Quota 100 con la scusa della bassa adesione il primo anno (30% di richieste, ndr) e per il fatto che determina una disparità forte tra lavoratrici e lavoratori. Possibile anche che si proponga un riordino delle pensioni assistenziali, visto che con il varo della pensione di cittadinanza si determina un divario tra lavoratori a calcolo misto e lavoratori a solo calcolo contributivo: trattamenti minimi, pensioni sociali, social card per gli over 65 si sovrappongono alla pensione di cittadinanza. Un riordino consentirebbe di gestire meglio questa componente di spesa con la motivazione di introdurre una pensione di garanzia per i giovani con carriere frammentate.

Al contrario, con un governo gialloverde bis nulla cambierebbe, con la Lega orientata a proporre quota41 alla fine del triennio di sperimentazione, consolidando così il maggiore debito pensionistico innescato. Probabilmente però si aprirebbe un confronto sul tema pensione di garanzia giovani e riordino pensioni assistenziali.

Tutto invariato, nel caso di governo istituzionale, se la prospettiva è di un voto anticipato. Se invece questo esecutivo venisse sostenuto da una maggioranza vasta parlamentare (per durare e eleggere il futuro presidente della Repubblica) allora si potrebbe immaginare una parziale sospensione della sperimentazione quota 100 con una norma di garanzia per chi ha fatto domanda entro una certa data. Possibile anche un ritorno agli adeguamenti pieni dei requisiti di anzianità alla speranza di vita. Si potrebbe poi procedere al riordino delle pensioni assistenziali.

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