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Rappresentatività sindacale: indicazioni e problemi della decisione della Corte Costituzionale 156/2025

di Tiziano Treu

N. 49

Guida al Lavoro

La sentenza 156/2025 della Corte Costituzionale interviene nuovamente sul tema della rappresentatività sindacale, colmando il vuoto legislativo e introducendo il criterio della rappresentatività comparativa per la costituzione delle RSA. Essa riconosce l'inadeguatezza dei precedenti criteri e valorizza l'esigenza di misurare la reale forza dei sindacati per evitare distorsioni e dumping contrattuale. La Corte sollecita ancora il legislatore a una riforma organica della materia.

La sentenza 156/2025 e il vuoto normativo sulla rappresentatività sindacale

La sentenza 156 del 30 ottobre 2025 costituisce una ennesima (la quinta se non erro) presa di posizione della Corte Costituzionale in tema di rappresentatività sindacale.

Questa lunga serie di interventi, che parte dalla sentenza 54 del 1974 e giunge fino alla 231 del 2013, riflette la anomalia del nostro ordinamento, il quale risulta tuttora privo di regole legislative su un punto come quello della rappresentatività del sindacato che costituisce l'architrave di tutti i sistemi pluralisti di relazioni industriali.

Tale anomalia ha provocato interventi di supplenza della Corte del tutto inusuali in materia, come la stessa Corte ha ripetutamente rilevato, sollecitando, inascoltata, il legislatore a intervenire per dare un assetto definito alla intricata materia.

La supplenza della Corte è stata sollecitata dalle aporie rilevate nelle decisioni succedutesi nel tempo e dalla loro insufficienza a fronteggiare i problemi emergenti dalle tormentate vicende delle nostre relazioni sindacali.

La decisione in commento non fa eccezione in quanto interviene in una delicata controversia intersindacale sollevata da un sindacato autonomo l' Orsa, con un intervento che ha suscitato reazioni contrastanti e qualche perplessità (cfr. tra i primi commenti M.V. Ballestrero, La rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro: attualità di una vecchia storia, LaBour&Law Issues, Vol. 11, n. 2, 2025; B. Caruso, La rappresentatività sindacale dopo la sentenza n. 156/2025. Dalla supplenza arbitrale alla supplenza sistematica, WP CSDLE IT, 504/2025; A. Ingrao, La costituzione di RSA dopo la sentenza n. 256/2025 della Corte Costituzionale, Giust.Civile.com., Novembre 2025; M. Marazza, Rappresentanza sindacale in azienda dopo Corte Cost. 156/2025. Più rappresentanze nei luoghi di lavoro, nuovi strumenti per la governare il dumping contrattuale, Giust. Civile.com., 3 nov. 2025;

La sentenza procede col segnalare la inadeguatezza dei criteri di rappresentatività sperimentati finora, da quello dell' originario art 19, lett a) dello Statuto del lavoratori, che si riferiva a una rappresentatività, quella delle confederazioni sindacali solo presunta, a quello art 19, lett b), della stipulazione di una contratto collettivo applicato nella unità produttiva, ancorché specificato non come mera adesione formale ma come risultato di una partecipazione attiva alle trattative, che è stato censurato in quanto "congegno di verifica empirica della rappresentatività nel singolo contesto produttivo "…." strutturalmente legato al solo potere di accreditamento dell' imprenditore" (sentenza 30 del 1990 e sentenza 231 del 2013).

Un punto centrale dell'attuale argomentazione della Corte è la insistenza sulla necessità che il criterio selettivo utilizzato per ammettere la organizzazione di rappresentanza alla fruizione dei diritti sindacali non sia solo formale, né si basi solo sul mutuo riconoscimento, ma rifletta la effettiva capacità rappresentativa del sindacato.

La sentenza aggiunge che tale criterio deve essere idoneo a "impedire ogni distorsione che possa falsarne la razionalità pratica" ; e chiosa con inusitata chiarezza che "tale idoneità non è assicurata nell' ordinamento sindacale di diritto privato, al contrario di quanto accade nell'ambito del pubblico impiego contrattualizzato".

Sulla base di questi argomenti la Corte riconosce la fondatezza della questione sollevata dal remittente in quanto "tra la libertà dell' impresa di trattare con chi vuole e il diritto del sindacato rappresentativo di accedere alle prerogative di legge si apre un vuoto di tutela costituzionalmente illegittimo".

Di conseguenza la decisione accetta la richiesta subordinata del tribunale di Modena di integrare i criteri selettivi previsti dall' art. 19, primo comma dello Statuto dei lavoratori.

Lo fa riferendosi al parametro della "rappresentatività comparativa", che ricorre sempre più frequentemente nella normativa degli ultimi anni, al posto di quello della maggiore rappresentatività.

Di conseguenza dichiara l' illegittimità costituzionale dell' art 19, primo comma, nella parte in cui non prevede che le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell' ambito delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Reazioni dottrinali e nodi applicativi aperti

Come dicevo sopra le reazioni dei commentatori sono stata diverse, e non è mancato chi ha rilevato che la sentenza aprirebbe più problemi di quanti ne risolve (così ad es. M.V. Ballestrero, La rappresentanza sindacale, cit., p. 19 ss.; e M. Marazzo, Rappresentanza sindacale, cit.).

Siamo di fronte a un vero atto di supplenza che introduce un principio ordinatore della materia rafforzato nella sua capacità regolatrice (v. M.V. Ballestrero, La rappresenanza sindacale, cit., p. 20; e B. Caruso, La rappresentatività sindacale, cit., p. 5).

Personalmente ritengo che essa sia correttamente motivata e si fondi su argomenti condivisibili, a cominciare dalla forte sottolineatura della esigenza di valorizzare criteri di rappresentatività che garantiscano la effettiva consistenza organizzativa e operativa del sindacato.

Con tale riferimento si dà una indicazione che può essere utilizzata dai giudici non solo per evitare le possibili strumentalizzazioni del mutuo riconoscimento fra le parti, ma anche per contrastare il fenomeno del dumping contrattuale provocato dal diffondersi di sindacati e di contrattazione "pirata".

In realtà le difficoltà applicative conseguenti alla sentenza, come molte delle perplessità rilevate dai primi commentatori, non sono nuove, ma si ripropongono in nuova rilevanza sistematica; dipendono dal fatto che le conclusioni della Corte rimettono in primo piano due questioni cruciali che finora sono state sottovalutate; anzi che sono state spesso eluse anche per la possibilità di ricorrere ai criteri di selettività sindacale finora riconosciuti che non richiedevano risposte al riguardo, quali la presunzione di rappresentatività delle confederazioni e la firma del contratto/partecipazione alle trattative contrattuali.

Le due questioni riguardano a) la definizione degli ambiti sui quali misurare la rappresentatività sindacale e b) i parametri o indicatori con cui accertare la effettiva rappresentatività dei vari sindacati e delle loro rappresentanze sindacali.

La prima questione viene in risalto perché la rappresentatività riconosciuta dalla sentenza con i relativi parametri si riferisce all' ambito della categoria nazionale. E tali parametri implicano di accertare la rappresentatività dei sindacati operanti in questo stesso ambito, e solo di questi (così M. Marazza, Rappresentanza sindacale in azienda dopo corte cost n.156/2025, cit., p. 7 ss.).

La concezione autonoma della categoria, riconosce avallandole le scelte operate dalle parti contraenti relativamente alle dimensioni e confini di questa, è stata a lungo prevalente nella nostra dottrina e giurisprudenza.

Ma se una simile concezione è giustificata in ossequio al principio generale della libertà sindacale di cui all' art 39, primo comma Cost., non lo è più quando deve essere usata per selezionare i sindacati cui vanno riconosciuti i diritti sindacali specifici previsti dall'ordinamento.

Infatti anche il nostro ordinamento come altri sistemi europei ha avvertito la necessità di stabilire criteri oggettivi di definizione della categoria, o del settore sindacale (cfr. per indicazioni sul punto T. Treu, Regole e procedure delle relazioni industriali: retaggi storici e criticità da affrontare, in WP CSDLE M. D'Antona, IT, 396/2019 e in Biblioteca 20 maggio, 2, 2019, p. 132 ss.).

Indicazioni in tal senso sono contenute anche in Italia nel cd. Patto della fabbrica del 9 marzo 2018, in cui le parti affermano "la necessità di intervenire sugli ambiti di riferimento della contrattazione collettiva di categoria" anche al fine di garantire "una più stretta correlazione fra CCNL applicato e reale attività di impresa".

Un criterio simile è stato sancito in via legislativa dalle previsioni del Codice degli appalti (art. 11, n.1, decreto legs. 36 del 31 marzo 2023) secondo cui al personale impegnato nei lavori oggetto di appalti pubblici e concessioni deve essere applicato "il contratto collettivo stipulato dalle associazioni delle parti comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ….il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l' attività oggetto dell' appalto o della concessione svolta dall' impresa, anche in maniera prevalente".

D' altra parte lo stesso Inps quando deve individuare il cd. contratto leader al fine di determinare il minimale contributivo di cui alla legge 338/1989, fa riferimento a categorie e settori definiti secondo criteri oggettivi, desunti dagli indici ateco.

Questi sono in larga parte obsoleti e diventati problematici a seguito della incertezza e variabilità delle categorie tradizionali conseguenti alle profonde trasformazioni indotte dalle nuove tecnologie e dalla economia digitale.

Le difficoltà e le incertezze su questo punto sono destinate ad accentuarsi, ove si volesse introdurre qualche forma di efficacia erga omnes dei contratti collettivi (vedi più ampiamente T. Treu, Regole e procedure delle relazioni industriali, retaggi storici e criticità da affrontare, cit., ove si ritiene che per superare queste incertezze di regolazione, anche al fine di adeguare tali perimetri si richiederebbero forme procedurali di raccordo fra le indicazioni degli accordi fra parti sociali e le determinazioni dell' ordinamento).

A fronte di queste convergenti indicazioni della legge e degli accordi fra le parti, un criterio oggettivo come quello della attività svolta dalle imprese costituisce il più idoneo a identificare l' ambito su cui misurare anche la rappresentatività dei sindacati nazionali di settore; e quindi ad esso dovrebbero riferirsi anche i giudici e le istituzioni, oltre le parti sociali, nel valutare la rappresentatività di tali sindacati e di conseguenza la legittimità di costituire loro rappresentanze in azienda.

Il criterio della rappresentatività comparata e le difficoltà definitorie

La seconda questione rimessa in primo piano dalla sentenza, attinente ai criteri per valutare la rappresentatività sindacale, è altrettanto risalente nel tempo della prima.

La formula utilizzata dalle normative più recenti puntualmente ricordate dalla Corte (dall' art. 2, co. 1, lett. m, del dlgs 276/ 2003 all' art 2, co. 1, lett e della legge 76/2025) per selezionare i sindacati beneficiari dei benefici di legge introduce il criterio della rappresentatività comparata, al posto della precedente che si riferiva in proposti ai sindacati "maggiormente rappresentativi".

Tale nuova specificazione è stata introdotta con l'intento di restringere le maglie della selezione delle organizzazioni beneficiarie dei diritti sindacali che erano state alquanto allentate dalla giurisprudenza e dalla prassi in applicazione del vecchio criterio.

Si è rilevato al riguardo che la applicazione del nuovo criterio basato sulla comparazione fra attori sindacali tutti ugualmente rappresentativi presuppone che si stabilisca un criterio soglia rispetto al quale fare il confronto fra tali organizzazioni per escludere quelle sotto la soglia in quanto non comparativamente più rappresentative (così M. Marazza, Rappresentanza sindacale in azienda, cit., p. 8 ss., che fa riferimento anche al contratto leader come indice della maggiore rappresentatività comparata dei sindacati stipulanti tale contratto).

Invero la questione così sollevata, con le relative difficoltà definitorie, si pone anche nella applicazione del vecchio concetto di sindacati maggiormente rappresentativi, in quanto anche in questo caso è necessario stabilire un termine soglia per distinguere questi sindacati maggiormente rappresentativi, da quelli genericamente definiti come rappresentativi.

Il fatto è che l'utilizzo di criteri generali come quello della rappresentatività, tanto più se qualificata con la specificazione di "maggiormente" e "comparativamente", solleva in ogni caso problemi applicativi di difficile soluzione.

Anzi a dire il vero, finché gli indici di tale rappresentatività sono di carattere qualitativo, come quelli per lo più utilizzati nella nostra prassi giudiziaria e amministrativa, la valutazione della stessa rappresentatività non potrà che essere approssimativa ed esposta a interpretazioni soggettive, come tali contestabili.

In effetti questo è quanto risulta dalla esperienza applicativa di tali indici, che ha manifestato la tendenza prevalente ad allargare piuttosto che a restringere le maglie selettive del concetto di rappresentatività.

Di qui il tentativo, a mio avviso poco efficace, di introdurre il criterio selettivo della rappresentatività comparata.

La introduzione di criteri quantitativi e quindi misurabili è stata prevista con accordi fra le maggiori confederazioni delle due parti (in particolare quello del 10 gennaio 2014 fra CGIL, CISL, UIL e Confindustria) sul modello delle regole previste per il pubblico impiego (ora art 43, dlgs165/2001).

Ma come è noto questi criteri basati sul doppio criterio della percentuale di iscritti ai sindacati e dei voti ricevuti nelle elezioni delle rappresentanze aziendali hanno trovato nel settore privato molte difficoltà applicative, non solo pratiche.

In conclusione, sulla base della esperienza risultante dalle vicende ben riassunte dalla sentenza della Corte Costituzionale si comprende come questa si concluda con l'invito al legislatore, più volte reiterato, di intervenire con una "organica riscrittura della disposizione censurata" come più volte emendata dalla Corte "volta a delineare un assetto normativo capace di valorizzare la effettiva rappresentatività in azienda quale criterio di accesso alla tutela promozionale delle organizzazioni dei lavoratori ".

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