Contenzioso

Rassegna di Cassazione

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di a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Onerosità del contratto di lavoro autonomo
Mancato godimento delle ferie e diritto all'indennità sostitutiva
Licenziamento per giusta causa
Licenziamento per giusta causa
Fatti di rilevanza penale, contestazione e principio di immediatezza

Onerosità del contratto di lavoro autonomo

Cass. Sez. Lav 6., 13 luglio 2022, n. 22132

Pres. D'Oronzo; Rel. Patti; Ric. M.D.; Controric S.E.

Lavoro autonomo – Contratto d'opera intellettuale – Compenso – Mancata indica-zione – Irrilevanza – Conferimento dell'incarico e adempimento – Onere della prova del lavoratore – Sussistenza

Nel contratto di prestazione d'opera intellettuale, come nelle altre ipotesi di lavoro au-tonomo, l'onerosità è elemento normale, anche se non essenziale, sicché, per esigere il pagamento, il professionista deve provare il conferimento dell'incarico e il suo adem-pimento, ma non anche la pattuizione di un corrispettivo, essendo invece onere del committente dimostrare l'eventuale accordo sulla gratuità della prestazione.

NOTA

Il caso di specie riguarda il rapporto di lavoro autonomo e la ripartizione dell'onere della prova circa l'onerosità della prestazione e il suo adempimento.Tra il prestatore d'opera e il committente sussisteva, infatti, un rapporto di lavoro au-tonomo in base al quale il primo aveva ingiunto al secondo il pagamento di circa 15.000 euro a titolo di corrispettivo. L'opposizione al decreto ingiuntivo del commit-tente veniva accolta e, a seguito dell'impugnazione di tale decisione, la Corte d'appello rigettava l'appello del prestatore per carenza di prova circa l'azionato credito e quello incidentale del committente (per intempestività).Contro la decisione della Corte d'appello ricorreva in Cassazione il prestatore lamen-tando, tra l'altro, violazione dell'articolo 2697 c.c. in tema di ripartizione dell'onere probatorio. Secondo il ricorrente, infatti, avendo egli provato l'esistenza del titolo (contratto, non disconosciuto in giudizio dal committente) su cui fondava il credito, non poteva essere considerata assente la prova.La Suprema Corte ha però dichiarato la doglianza infondata e rigettato il ricorso. Infat-ti la Cassazione ha confermato il suo orientamento in tema di ripartizione dell'onere probatorio in merito alla natura onerosa del rapporto di lavoro autonomo, statuendo che la stessa è elemento normale di tale istituto e, come tale, non deve essere provata dal creditore il quale, però, deve comunque provare l'esistenza del contratto e il suo adem-pimento. Tale ultimo elemento è costituito dallo svolgimento delle singole prestazioni che del corrispettivo rappresentano i fatti costitutivi.Correttamente dunque, conclude la Corte, la Corte d'Appello ha rigettato l'appello del prestatore, non avendo quest'ultimo dimostrato – a seguito di eccezione di inadempi-mento del committente – il suo adempimento all'obbligazione di svolgimento delle prestazioni.

Mancato godimento delle ferie e diritto all'indennità sostitutiva

Cass. Sez. Lav., 8 luglio 2022, n. 21781

Pres. Manna; Rel. Spena; P.M. Fresa; Ric. S.D.; Controric. R.A.

Ferie – Indennità sostitutiva – Perdita del diritto alle ferie e all'indennità – Onere della prova del datore – Invito al dipendente a godere delle ferie – Avviso che in caso di mancata fruizione perderà ferie e indennità – Necessità

E' il datore di lavoro il soggetto tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite. Pertanto, la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verifi-carsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova: di avere invitato il la-voratore a godere delle ferie e di averlo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno per-se al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.

NOTA

La Corte d'Appello di L'Aquila riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede accogliendo il ricorso del datore di lavoro che era stato condannato al versamento dell'indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi non goduti in favore di un lavorato-re. I giudici di secondo grado ritenevano essere a carico del lavoratore l'onere di prova-re l'avvenuta prestazione lavorativa nei giorni destinati alle ferie, onere che nella spe-cie non era stato assolto. Aggiungeva che «nessuna prova era stata acquisita in ordine all'ulteriore presupposto richiesto dalla giurisprudenza della Suprema Corte ovvero il fatto che il mancato godimento delle ferie fosse stato cagionato da eccezionali e moti-vate esigenze di servizio o da causa di forza maggiore».Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione lamentando la violazione dell'art. 115 c.p.c. e la nullità della sentenza, laddove afferma la carenza di prova della mancata fruizione delle ferie e dei permessi.I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso richiamando gli arresti giurisprudenzia-li formatisi nel tempo in armonia con il diritto dell'Unione Europea e hanno precisato i seguenti principi: «a. le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunciabile del lavoratore e correlativamente un obbligo del datore di lavoro; b. il diritto alla indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro è intrinsecamente collegato al diritto alle ferie annuali retribuite; c. è il datore di lavoro il soggetto tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite; la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispon-dente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi sol-tanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova: di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – ; di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad appor-tare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato». La Corte ha quindi cassato la sentenza in quanto non conforme a tali principi, avendo posto a carico del lavoratore un onere probatorio che non gli compete e che, peraltro, nei contenuti non è conforme al diritto dell'Unione.  

Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav., 13 luglio 2022, n. 22094

Pres. Doronzo; Rel. Cinque; Ric. T.A.; Controric. R. S.p.A.

Licenziamento – Fattispecie: rifiuto di sottoporsi a visita medica di idoneità in oc-casione del cambio di mansioni – Presunto illegittimo demansionamento – Ecce-zione di inadempimento – Inapplicabilità – Giusta causa – Sussistenza

È sorretto da giusta causa il licenziamento della dipendente che, convocata dal datore di lavoro, rifiuti di sottoporsi a visita medica di idoneità in occasione del cambio di mansioni eccependo un contestuale illegittimo demansionamento ai sensi e per gli ef-fetti di cui all'art. 1460 c.c., norma applicabile solo in ipotesi, escluse nella fattispecie, di totale inadempimento del datore di lavoro o di condotta tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo.

NOTA

Nel caso di specie, una lavoratrice adiva l'Autorità Giudiziaria al fine di sentir dichia-rare l'illegittimità del licenziamento disciplinare irrogatole per avere la medesima, convocata dalla società datrice, rifiutato di sottoporsi a visita medica di idoneità in oc-casione del cambio di mansioni, adducendo a giustificazione della propria condotta, dapprima, l'inadeguatezza del luogo di svolgimento del controllo, e, successivamente, l'illegittimità dell'accertamento medico poiché finalizzato allo svolgimento di man-sioni ritenute non confacenti alla propria professionalità. La Corte d'Appello di Bologna, confermando la decisione emessa dal Tribunale della stessa sede, rigettava l'impugnazione della lavoratrice, reputando conforme alla legge la richiesta di sottoposizione a visita medica e non giustificato il rifiuto della ricorren-te.Per l'annullamento di tale decisione, proponeva ricorso alla Suprema Corte la lavora-trice, lamentando la violazione e falsa applicazione della disciplina di legge in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in relazione, tra il resto, agli artt. 1460 e 2103 c.c. La ricorrente, in particolare, riteneva errata la decisione della Corte distrettuale per non aver quest'ultima considerato che la visita medica disposta dall'azienda aveva la sola finalità di accertare l'idoneità della lavoratrice allo svolgimento – non delle man-sioni sino ad allora espletate, bensì – di mansioni lavorative assegnatele illegittima-mente, di talché la fattispecie concreta non era sussumibile in quella normativamente prevista, e, dunque, doveva ritenersi giustificato il rifiuto opposto.A fronte di suddetta censura, con l'ordinanza in commento, la Corte di legittimità ha confermato la precedente decisione di merito. Precisamente, la Suprema Corte – rile-vato che la visita medica di idoneità in ipotesi di cambio delle mansioni è prescritta per legge e la richiesta di sottoposizione a visita, da parte del datore di lavoro, prima della assegnazione alle nuove mansioni, non è censurabile e, anzi, è un adempimento dovuto – ha ritenuto la reazione della lavoratrice «assolutamente non giustificabile ai sensi dell'art. 1460 c.c.». Ciò in quanto, da un lato, il datore di lavoro si era limitato ad ade-guare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condi-zioni fisiche dei dipendenti nell'espletamento delle mansioni loro assegnate, e, dall'altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l'asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli or-gani competenti. Ritenuto, dunque, dimostrato che nella fattispecie non sussistevano i presupposti di applicabilità della norma di cui all'art. 1460 c.c., la Corte decideva co-me da massima, rigettando il ricorso.Per un approfondimento sul tema si veda questo stesso fascicolo di Guida al Lavoro.

Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav. 13 luglio 2022, n. 22115

Pres. Tria; Rel. Leone; Ric. C.L.; Controric. C. S.p.A.

Giusta causa – Fattispecie analoga commessa da due dipendenti – Comparazione – Esclusione – Fattispecie: licenziamento del dipendente per aver causato un inci-dente grave ed abbandonato la macchina dell'azienda – Legittimità

E' condivisibile l'affermazione che non si possa porre a carico del datore di lavoro l'onere di fornire, per ciascun licenziamento, una motivazione del provvedimento adot-tato che sia comparata con le altre assunte in fattispecie analoghe e, tuttavia, ove nel corso del giudizio non emergano quelle differenze che giustificano il diverso trattamen-to dei lavoratori, correttamente può essere valorizzata dal giudice l'esistenza di solu-zioni differenti per casi uguali al fine di valutare la proporzionalità della sanzione adottata.

NOTA

La Corte d'Appello di Bologna rigettava il reclamo proposto dal lavoratore avverso la decisione del Giudice di primo grado, con la quale era stato dichiarato legittimo il li-cenziamento per giusta causa intimato dalla datrice di lavoro in data 3 maggio 2016.In sostanza, la Corte territoriale confermava la legittimità del licenziamento irrogato al lavoratore a causa dell'incidente verificatosi in data 4 aprile 2016, durante il quale «l'autovettura di servizio guidata dal C., su cui era posizionata la gru retrocabina, an-dava a sbattere, a causa del mal posizionamento di quest'ultima, contro la trave del ponte situato sulla strada provinciale percorsa" e, così, "la società datrice di lavoro valutava la grave inadempienza del dipendente, causativa dell'incidente, oltre che la mancata compilazione del disco orario obbligatorio e del cronotachigrafo, attestativo della velocità del mezzo, e quindi recedeva dal rapporto di lavoro senza preavviso».La Corte d'Appello riteneva «legittimo il licenziamento, attesa la gravità della condot-ta fortemente lesiva del vincolo fiduciario, anche valutando proporzionata la sanzione espulsiva».Il lavoratore impugnava la sentenza di secondo grado.La Suprema Corte respinge il ricorso ricordando che, in tema di licenziamento disci-plinare, la eventuale disparità di trattamento di due lavoratori «debba emergere nel corso del giudizio attraverso elementi a tal riguardo significativi e tali da non richie-dere, nella esplicitazione delle ragioni del licenziamento, una contestuale ricognizione da parte del datore di lavoro diretta a giustificare la diversità di trattamenti adottati. La possibile valorizzazione da parte del giudice di situazioni similari, al fine di una va-lutazione di irragionevole disparità, non può che trovare presupposto in allegazioni presenti nella causa, tali da consentire una indagine di fatto ed una possibile compara-zione. Il profilo allegatorio e probatorio assume quindi valore essenziale al fine di con-sentire al giudice del merito il concreto apprezzamento di similarità di situazioni trat-tate, irragionevolmente, in maniera differente».In sostanza il datore di lavoro non deve giustificare il motivo per cui ha licenziato un lavoratore per una condotta che ad un altro lavoratore non è stata sanzionata.Per un approfondimento sul tema si veda questo stesso fascicolo di Guida al Lavoro.  

Fatti di rilevanza penale, contestazione e principio di immediatezza

Cass. Sez. Lav., 15 luglio 2022, n. 22378

Pres. Manna; Rel. Della Torre; P.M. Fresa; Ric. O.F.; Controric. A.d.E.R.

Fatti di rilevanza penale – Contestazione e licenziamento disciplinare – Principio di immediatezza – Ratio – Fattispecie: fatti verificatisi nel novembre 2007 conte-stati nel 2017 a seguito di sentenza penale –Tempestività – Sussiste

Non viola il principio di tempestività della contestazione la condotta datoriale che riservi la valutazione disciplinare dei fatti all'esito del giudizio penale, non essendovi alcuna violazione delle prerogative di difesa della parte lavoratrice presidiate dall'art. 7, St. lav., né, tantomeno, del legittimo affidamento di quest'ultima rispetto alla irrile-vanza disciplinare dei fatti, il cui vaglio è stato oggetto di una mera posticipazione.

NOTA

La Corte d'Appello di Lecce, confermando la sentenza resa all'esito del primo grado di giudizio, ha ribadito la legittimità del licenziamento irrogato ad un lavoratore per fatti materialmente avvenuti nel 2007 e oggetto di una successiva condanna penale.Secondo la Corte distrettuale, sulla base di un'espressa previsione del CCNL, il datore di lavoro aveva validamente rinviato la valutazione degli addebiti all'esito del giudizio penale e irrogato l'atto di recesso solo una volta appresa, seppur a distanza di anni, la ricorrenza della fattispecie criminosa, senza per questo ledere i principi di immedia-tezza e tempestività che informano il procedimento disciplinare.Contro la pronuncia di secondo grado ha promosso ricorso in cassazione il lavoratore lamentando la violazione del principio di immediatezza della contestazione.Tuttavia, nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito come: «il principio di immediatezza della contestazione e del licenziamento, rispetto ai fatti di-sciplinarmente rilevanti, trova giustificazione, secondo ripetuto insegnamento di que-sta Corte, in due essenziali e concorrenti valori, riconducibili al generale obbligo del datore di lavoro di comportarsi secondo correttezza e buona fede nell'esercizio del po-tere disciplinare: e cioè, da un lato, l'esigenza di consentire al lavoratore incolpato l'effettivo esercizio del diritto di difesa mediante l'allestimento dei materiale difensivo; dall'altro, la considerazione del "giusto affidamento" del prestatore di lavoro, nel ca-so di ritardo nella contestazione, sul fatto che la condotta incriminabile possa non ave-re effettivamente rivestito una connotazione disciplinare». Ebbene, secondo i giudici di legittimità, l'aver riservato, sulla base di una espressa previsione contrattual-collettiva, la valutazione disciplinare dei fatti all'esito del giudizio penale, non comporta alcuna violazione del predetto principio, avendo il datore di lavoro posto il lavoratore nella condizione di esercitare le proprie prerogative di difesa e di comprendere, nel lungo termine, il possibile esercizio del potere disciplinare in caso di intervenuta condanna.

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