Recesso ingiustificato se il rendimento non è sotto la media
Niente reintegra ma solo un risarcimento per il licenziamento basato sul mancato raggiungimento degli obiettivi. Con la sentenza 31487/2018, la Cassazione si è espressa su una complessa questione inerente diversi aspetti: riqualificazione del rapporto di lavoro, nozione di scarso rendimento e regime di tutela applicabile in caso di licenziamento illegittimo per fatto sussistente ma rilevante unicamente sotto il profilo disciplinare.
In via preliminare, la Suprema corte ha confermato la decisione dei giudici di merito in relazione alla riqualificazione del rapporto di lavoro cui era stata attribuita natura subordinata, atteso che, a prescindere dal nomen iuris riconosciuto dalle parti (che avevano formalmente sottoscritto un contratto di agenzia), nel caso specifico sussistevano tutti gli elementi indicizzanti della subordinazione.
È stato inoltre rilevato come il licenziamento sia stato intimato al dipendente (come tale riqualificato) attivando una clausola risolutiva del contratto di agenzia relativa al mancato raggiungimento degli obiettivi annuali contrattualmente assegnati. Dovendosi interpretare tale clausola alla luce della subordinazione del rapporto, i giudici hanno escluso che l’inadempimento contestato e accertato possa essere ritenuto tanto notevole da integrare l’ipotesi dello «scarso rendimento» e giustificare in questo modo la risoluzione del rapporto di lavoro. Per aversi scarso rendimento, infatti, deve risultare provata «una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente... in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione...e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione» (Cassazione 18678/2014).
Nel caso in esame tale ipotesi è stata esclusa, atteso che i risultati del lavoratore erano sì inferiori alla media, ma soltanto nell’arco dell’ultimo anno, e comunque pari a quelli di altri promotori, i quali, peraltro, non solo non avevano raggiuntogli obiettivi, ma non erano stati destinatari di contestazione.
Accertata l’illegittimità del licenziamento, è stata esclusa l’applicazione della tutela reintegratoria «attenuata» (reintegrazione e indennità risarcitoria nella misura non superiore a dodici mensilità di retribuzione), prevista dall’articolo 18, comma 4 dello statuto dei lavoratori per casi di «insussistenza del fatto contestato» - ossia fatto materialmente insussistente ovvero fatto che, pur sussistente, non presenta profili di illiceità – nonché nelle ipotesi di fatti rientranti «tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili».
Ove invece si accerti, come avvenuto nel caso in esame, in applicazione del principio di proporzionalità, che la condotta del lavoratore, pur materialmente sussistente e con un rilievo disciplinare, non giustifichi l’irrogazione del licenziamento, si verte incontrovertibilmente in quelle «altre ipotesi» cui il legislatore al comma 5 dell’articolo 18 dello statuto ha inteso ricollegare la sola tutela indennitaria «forte» (indennità risarcitoria tra 12 e 24 mensilità).
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