Welfare

Reddito di cittadinanza, il requisito di residenza pluriennale contrario al diritto Ue

Avviato il procedimento di infrazione contro l’Italia. Sotto la lente anche l’assegno unico universale

di Enrico Traversa

Con l’avvio del procedimento di infrazione contro l’Italia, la Commissione europea ha accolto in pieno la denuncia presentata da quattro associazioni di sostegno agli immigrati (Asgi, Naga, Apn e L’altro diritto), avente a oggetto il requisito della residenza di dieci anni in Italia per l’ottenimento del reddito di cittadinanza (Rdc), previsto all’articolo 2 del Dl 4/2019 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 16 febbraio). Nella sua giurisprudenza la Corte di giustizia Ue ha infatti costantemente equiparato una condizione di residenza a una discriminazione indiretta sulla base della nazionalità in quanto «il più delle volte i non residenti sono cittadini degli altri Stati membri» (sentenza C-224/97, punto 14).

Nel caso di prestazioni di assistenza sociale come il Rdc i giudici europei hanno ritenuto che un requisito di residenza «semplice», ovvero senza durata minima, possa essere giustificato dall’esigenza di controllare la situazione professionale e patrimoniale dei beneficiari (C-406/04, punto 41). Non può invece in alcun modo essere giustificata la condizione aggiuntiva consistente nella durata minima di 10 anni della residenza in Italia (C-90/97, punto 30) e pertanto i lavoratori Ue acquisiscono il diritto alla parità di trattamento fin dal loro primo accesso al mercato del lavoro italiano «dato che il lavoratore migrante, con le imposte e i contributi che versa in relazione dell’attività retribuita che esercita, contribuisce al finanziamento delle politiche sociali dello Stato membro di accoglienza» (C- 342/09, punto 66).

Nella sua lettera di messa in mora la Commissione europea ha contestato “a 360 gradi” allo Stato italiano la violazione di tutte le norme Ue menzionate nella denuncia delle associazioni di difesa degli immigrati: l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento Ue 492/2011 per quanto riguarda i lavoratori comunitari e i cittadini italiani «emigrati di ritorno» a essi equiparati dalla Corte Ue (C-220/12, p. 18); l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva Ue 2004/38 per quanto riguarda i lavoratori autonomi e i cittadini non attivi pure di altri Stati membri; l’articolo 11 paragrafo 1.d della direttiva Ue 2003/109 relativamente ai lavoratori extra-comunitari «soggiornanti di lungo periodo» (C-514/10); l’articolo 29 della direttiva Ue 2011/95 che impone la parità di trattamento nei confronti dei cittadini pure extra-comunitari beneficiari di protezione internazionale (C-443/14).

Da notare che la Commissione ha colto l’occasione per avviare contro lo Stato italiano un secondo procedimento di infrazione per un’analoga violazione del diritto Ue che non era oggetto della denuncia suddetta e che riguarda la condizione di residenza di due anni prevista dall’articolo 3 del Dlgs 230/2021 istitutivo dell’assegno unico per figli a carico. Quasi identiche le motivazioni della seconda lettera di messa in mora alle quali si aggiunge la violazione del regolamento Ue 883/2004, articoli 4 e 7, sulla sicurezza sociale dato che gli assegni familiari sono da qualificare come prestazioni di sicurezza - e non di assistenza - sociale ai sensi dell’articolo 3.1.j del regolamento stesso.

Va ricordato anche che pochi mesi fa il Tribunale penale di Napoli ha inviato alla Corte di giustizia due ordinanze di rinvio con le quali ha chiesto ai giudici Ue di pronunciarsi sulla compatibilità con la direttiva 2003/109 disciplinante i «soggiornanti di lungo periodo», sia della condizione di residenza di dieci anni, sia della sanzione penale prevista dall’articolo 7 del Dl 4/2019 per chi sottoscrive una falsa dichiarazione di risiedere in Italia da più di dieci anni.

È evidente che se la Corte, come sarà inevitabile visti i tantissimi precedenti giurisprudenziali di identico tenore, dichiarerà la contrarietà al diritto Ue della norma legislativa “principale” (il requisito della residenza di dieci anni), la stessa dichiarazione di incompatibilità con il diritto Ue travolgerà anche la norma legislativa “accessoria” che prevede la sanzione per violazione della prima (C-338/04). La sentenza della Corte di giustizia in queste due cause pregiudiziali (C-112 e C-223/22) è attesa entro quest’anno e sicuramente precederà la sentenza di condanna dello Stato italiano al termine del procedimento di infrazione. Infatti, dopo la lettera di messa in mora la Commissione dovrà notificare al Governo italiano un parere motivato e se quest’ultimo non si conformerà al suddetto parere entro due mesi, la Commissione dovrà presentare ricorso contro l’Italia dinanzi alla Corte di giustizia.

L’emanazione di una sentenza di condanna ex articolo 258 del Trattato Ue sarà utile perché qualora lo Stato italiano non eseguisse questa prima pronuncia dei giudici Ue - esecuzione consistente nella semplice soppressione della condizione dei dieci anni di residenza - la Commissione potrebbe adire la Corte con un secondo ricorso che potrebbe sfociare in una seconda sentenza di condanna ex articolo 260 con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di molti milioni di euro. Se poi il Governo italiano rifiutasse di pagare la sanzione irrogata dalla CorteUe, la Commissione potrebbe procedere all’esecuzione forzata del credito Ue tramite compensazione ex articolo 102 del regolamento finanziario 2018/1046, vale a dire decurtando di un importo equivalente un qualsiasi finanziamento Ue concesso allo Stato italiano.

Va ricordato che le sentenze della Corte di giustizia hanno effetto retroattivo e pertanto fin dall’emanazione della prima sentenza pregiudiziale prevista per quest’anno saranno illegittimi tutti i provvedimenti dell’Inps aventi a oggetto il rifiuto ex ante o la revoca ex post ai beneficiari che l’avevano già ottenuto, del Rdc per mancanza del requisito illegittimo della residenza in Italia per dieci anni. Inoltre, tutti i processi penali per violazione dell’articolo 7 del Dl 4/2019 si concluderanno necessariamente con un’assoluzione (ordinanza di rinvio del Tribunale di Napoli).

Infine, “il colpo di grazia” alla condizione di residenza di dieci anni potrebbe venire dalla Corte costituzionale la quale, adita dalla Corte d’appello di Milano con ordinanza di rinvio del 30 maggio 2022 (causa 943/2021), potrebbe dichiarare incostituzionale l’articolo 2.1.a del Dl 4/2019 per violazione dell’articolo 117 della Costituzione quale conseguenza diretta della violazione delle precitate quattro disposizioni di diritto Ue.

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