Rendita Inail unificata per gli aggravamenti dovuti a concause sopravvenute
Il termine per esercitare il diritto alla revisione della rendita Inail stabilito dall'articolo 83 del Dpr 1124/1965 va riferito esclusivamente all'eventuale aggravamento delle condizioni del lavoratore derivante dalla «naturale evoluzione» dell'originario stato morboso. Se il maggior grado di inabilità dipende da una «concausa sopravvenuta», sempre originata dalla lesione generata dallo stesso infortunio, si applica invece la disciplina dettata dall'articolo 80 del Dpr 1124.
Il principio è stato confermato dalla Corte di cassazione nella sentenza 1048/2018, depositata ieri, con cui i giudici di legittimità sono stati a pronunciarsi sul caso di un lavoratore che il 21 settembre 2010 aveva chiesto al giudice del lavoro di Saluzzo di accertare l'aggravamento nella misura del 70% dei postumi conseguenti a un infortunio sul lavoro occorsogli nel dicembre del 1994: lo schiacciamento del ginocchio destro con riconoscimento di una rendita per inabilità dell'11%, confermata una prima volta il 30 ottobre 1998.
In sede amministrativa l'Inail aveva riconosciuto al richiedente l'aggravamento, portando la rendita al 27% dall'agosto 2007, ma la valutazione era stata contestata dal lavoratore che nel frattempo, dopo una lunga serie di interventi chirurgici, si era sottoposto ad amputazione dell'arto nel maggio del 2010.
Le decisioni dei giudici di merito
Il giudice di primo grado, fatta eseguire una consulenza tecnica d'ufficio, aveva riconosciuto al lavoratore un rendita d'inabilità al 40% dal 1° febbraio 2007, per salire al 50% dal 1° gennaio 2018 e al 70% dal 1° aprile 2010. La Corte d'appello di Torino, a cui aveva fatto ricorso l'Inail, non aveva, invece, confermato l'aumento della rendita al 70%, sulla base del fatto che essa avrebbe coperto un aggravamento ulteriore rispetto al decennio dall'infortunio originario previsto dall'articolo 83 del Dpr 1124/1965.
Si ricorda che quest'ultimo articolo del Testo unico per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali introduce la regola cosiddetta della “stabilizzazione dei postumi”, secondo cui la revisione della rendita può essere chiesta per un certo numero di volte entro il termine di 10 anni dalla data dell'infortunio.
I chiarimenti della Cassazione
Nel ripercorrere i termini della vicenda, la Cassazione – a cui avevano fatto ricorso sia l'Inail, sia, in via incidentale, il lavoratore – ha chiarito anzitutto che il termine decennale previsto dall'articolo 83 non è di prescrizione, né di decadenza, «ma delimita soltanto l'ambito temporale di rilevanza dell'aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell'assicurato che fa sorgere il diritto alla revisione». È quindi ammissibile la proposizione della domanda di revisione oltre il decennio, a condizione che la parte interessata provi che la variazione in meglio o in peggio si sia verificata entro il decennio e purché l'Istituto, entro un anno dalla data di scadenza del decennio dalla costituzione della rendita, comunichi all'interessato l'inizio del relativo procedimento di revisione.
Ciò premesso, i giudici di legittimità hanno ricordato che al contrario del miglioramento, che può dipendere anche da cause extralavorative, il peggioramento può essere preso in considerazione sulla base dell'articolo 83 solo se esso dipende «in via esclusiva» dal danno generato dall'infortunio indennizzato.
Diverso è il discorso nel caso in cui, invece, l'aggravamento dipenda da una concausa sopravvenuta, casualmente dipendente dall'infortunio, la quale, proprio per il carattere di evento non prevedibile ed estraneo al naturale evolversi del danno originario, secondo la Corte «si colloca logicamente al di fuori della regola della stabilizzazione dei postumi… e non ne consente l'applicazione». In queste ipotesi andrà applicato l'articolo 80 del Dpr 1124/1965, il quale prevede l'unificazione di una prima rendita con successiva rendita (primo comma), anche se da malattia, di una prima rendita con accertata inabilità inferiore al minimo indennizzabile (secondo comma) e infine consente anche la riunificazione di due inabilità ciascuna inferiore al minimo, ma che cumulate lo raggiungono (terzo comma). Tutti casi in cui non si applica un termine decennale per la richiesta.
Rapportati questi principi al caso di specie, secondo la Cassazione è allora fondato il ricorso del lavoratore, visto che il maggior grado d'inabilità riscontrato alla data del 1° aprile 2010 è derivato dalla lesione prodotta dall'infortunio originario e che l'amputazione dell'arto subito dall'uomo era stata cagionata dall'insorgere di un'infezione alla protesi, circostanza, quest'ultima, che assume valenza di concausa sopravvenuta.
Da ciò il rigetto del ricorso Inail, la cassazione della sentenza e il rinvio alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione, per fare applicare la disciplina dell'articolo 80 con l'unificazione alla rendita originaria del ricorrente gli ulteriori maggiori gradi di inabilità via via accertati dalla consulenza tecnica svolta in primo grado.
La sentenza n. 1048/18 della Corte di cassazione