Retrocessione dell’azienda e tutela del Fondo di garanzia Inps
La sezione lavoro della Cassazione, con la sentenza 26021 del 17 ottobre 2018, torna sul tema della tutela del Fondo di garanzia Inps avverso il mancato pagamento del Tfr e delle ultime mensilità da parte del datore di lavoro incapiente, soprattutto in presenza di fenomeni di circolazione dell'azienda che rendono maggiormente complicata la verifica dei requisiti per l'accesso alle prestazioni del Fondo.
Il caso riguarda un lavoratore dipendente di una Srl transitato in base all’articolo 2112 del codice civile alle dipendenze di una diversa società resasi affittuaria della cedente. Il rapporto di lavoro con l'affittuaria era però cessato poco tempo dopo, con l'effetto della retrocessione del lavoratore alle dipendenze dell'originario datore di lavoro che però, nel frattempo, era stato dichiarato fallito, con conseguente licenziamento operato contestualmente e direttamente dalla curatela della società.
Il lavoratore aveva chiesto al fallimento dell'originario datore di lavoro il pagamento dell'intero credito, anche per quote di Tfr maturate presso l'azienda cessionaria, considerando l'originario datore di lavoro come obbligato in solido. In seguito, per lo stesso credito si era rivolto all'Inps, che aveva respinto la domanda ritenendo che prima di accedere alla tutela del Fondo, il lavoratore avrebbe dovuto rivolgersi ai soggetti coobbligati, quali nel caso di specie, il retrocedente.
La Cassazione riesamina in modo approfondito la questione, partendo dal presupposto che, per effetto dei recentissimi mutamenti della giurisprudenza, l'Inps, in sede di intervento del Fondo, può contestare la sussistenza dei presupposti del diritto di credito lavoristico insoddisfatto (sotto il profilo della sua esigibilità), nonostante la sua avvenuta ammissione al passivo del datore di lavoro (si veda Cassazione 19277/2018).
Nel caso di specie l'Inps aveva contestato, in via preliminare, che in realtà si fosse verificata una effettiva retrocessione, e che quindi doveva indagarsi sulla permanenza della responsabilità del retrocedente, non potendo parlarsi di effettiva retrocessione in assenza di svolgimento di attività aziendale in capo al retrocessionario. Tuttavia, secondo la Corte, si può discutere di tale effetto (l'effettiva retrocessione) solo quando accanto alla non prosecuzione dell'attività presso il retrocessionario si accompagni la continuazione dell'attività presso il retrocedente. Solo in questo caso si può verificare una frode del rapporto di lavoro, ma così non accade quando, come nel caso di specie, alla retrocessione segua la cessazione dell'attività anche dell'azienda retrocedente.
La tutela del lavoratore è quindi insita nella corresponsabilità del retrocessionario, a nulla rilevando il fatto che quest'ultimo decida, una volta riottenuta l'azienda, di scioglierla con effetto immediato. L'effetto traslativo, secondo la Corte, si è prodotto in quanto, al momento della retrocessione l'azienda retrocedente non si era ancora dissolta. Correttamente, quindi, il credito per Tfr e per le mensilità è stato chiesto direttamente al fallimento dell'azienda retrocessionaria e sulla base dell'ammissione di questo, in assenza di pagamento, il lavoratore si è potuto rivolgere all'Inps.
Quanto invece alla questione relativa alla necessità che il lavoratore, una volta maturato il credito presso il datore di lavoro insolvente, avrebbe dovuto rivolgersi in via preliminare agli eventuali obbligati in solido del datore di lavoro (es. i precedenti titolari dell'azienda trasferita), la Cassazione ritiene tale onere insussistente. Pur essendo pacifica, nel caso di cessione/retrocessione, l'obbligazione principale della retrocedente dell'azienda rispetto alla quota di Tfr maturata per il periodo di attività lavorativa ivi svolta, altra cosa è configurare, per questo, una sorta di beneficium excussionis opponibile dall'Inps nel caso di domanda al Fondo.
Le norme sull'intervento del Fondo di garanzia, infatti, non prevedono in alcuna parte un obbligo di preventiva escussione dei datori di lavoro eventualmente obbligati, ma tutelano, in funzione anticipatoria, il lavoratore a fronte dell'insolvenza del datore di lavoro presso cui il rapporto è cessato. Le scansioni poste da dette norme (per esempio l’articolo 2 della legge 297/1982) per la presentazione della domanda sono esclusivamente temporali, per cui, attesa anche l'autonomia dell'obbligazione a carico del Fondo, la stessa non può ricostruirsi in termini di solidarietà/sussidiarietà con quella del datore di lavoro obbligato.
Anche in via interpretativa è possibile comunque giungere allo stesso risultato: non è possibile chiedere al lavoratore, una volta maturato e accertato il credito, un'attività ulteriore di recupero presso eventuali soggetti coobbligati, attività che finirebbe col separare il momento della maturazione del credito dalla sua effettiva soddisfazione, contrariamente ai principi generali in punto di necessità di tutela e pronta soddisfazione dei crediti retributivi. Sarà dunque semmai l'Inps, in sede di surroga, ad attivarsi per il recupero delle somme, stimolando la curatela a rivolgersi al retrocedente, per implementare la parte dei crediti della procedura ed eventualmente soddisfare anche l'Inps (al netto del problema della estensione in via surrogatoria del diritto dell'Inps anche ai crediti affluiti alla procedura per questa via indiretta).
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