Contenzioso

Sanzionato il datore che non concede 11 ore di riposo al giorno

immagine non disponibile

di Uberto Percivalle e Luca de Vecchi

In caso di violazioni alla normativa sull’orario di lavoro e sul riposo intervenute tra il 2004 e il 2008, si applicano le sanzioni già previste dal regio decreto legge 692/1923 e dalla legge 270/1934 e non quelle dell’articolo 18-bis comma 3 e 4 del Dlgs 66/2003 vigente nel periodo considerato, ma abrogato dalla sentenza della Corte costituzionale 154/2014.

Lo ha affermato la Corte di cassazione (sentenza 24) con riferimento al caso di una reiterata violazione (nello specifico a danno di una badante) del diritto al riposo minimo giornaliero di 11 ore; la violazione era avvenuta nel periodo tra settembre 2004 e ottobre 2006.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 2011, aveva ritenuto che la sanzione stabilita dall'articolo 18- bis del Dlgs 66/2003 all'epoca vigente dovesse essere applicata sulla base del numero di lavoratori cui si riferiva la violazione e graduandola tra il minimo e il massimo a seconda del numero di violazioni. Il ministero del Lavoro aveva proposto ricorso in Cassazione, non condividendo questa interpretazione su come modulare la sanzione.
La Corte di legittimità a sua volta si è trovata a decidere sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 154/2014, intervenuta dopo i ricorsi presentati contro la decisione della Corte d'’ppello, dal ministero del Lavoro e dal soggetto sanzionato.
Per ricostruire la vicenda è utile ripercorrere la cronistoria della disciplina dell'orario di lavoro e del relativo impianto sanzionatorio.
Com'è noto, nel marzo 2002 il Governo veniva delegato ad attuare la direttiva europea in materia di orario di lavoro. Quale criterio direttivo la legge stabiliva che le sanzioni amministrative dovessero essere identiche a quelle già vigenti per violazioni omogenee rispetto a quelle previste dalla nuova normativa. Infatti, nella prima versione del Dlgs 66/2003 non erano previste specifiche sanzioni per la violazione delle regole in materia di riposo, rinviando quindi implicitamente alle previgenti sanzioni stabilite dall’Rdl 692/1923 e dalla legge 270/1934 (da 25 a 155 euro). Sulla base della medesima legge delega, nel successivo anno è poi intervenuto un nuovo decreto legislativo (n. 213/2004) che ha apportato alcune modifiche all'originario testo del 2003, fra l'altro introducendo un nuovo regime sanzionatorio con l'aggiunta dell'articolo 18-bis (che prevedeva da 105 a 630 euro per le violazioni sul riposo giornaliero e settimanale).
Interpellata circa la legittimità costituzionale di tale nuovo regime sanzionatorio, la Consulta nel 2014 ne pronunciava l'incompatibilità con la legge delega, secondo cui le sanzioni avrebbero dovuto essere identiche alle precedenti, per violazioni omogenee.
Con la sentenza n. 24/2018 in commento la Cassazione ha ribadito l'ormai consolidato principio di reviviscenza della normativa abrogata da altra disciplina legislativa a sua volta abrogata all'esito di declaratoria di illegittimità costituzionale (citando vari precedenti tra cui Cass. 3093/1989, Cass. 13813/2000, Cass. 13182/2010; Cass 257/2012) e ha cassato la sentenza impugnata, chiedendo alla Corte d’appello di Milano di decidere nuovamente il caso ma applicando la normativa sanzionatoria più risalente, prevista dall'Rdl 692/1923 e dalla legge 270/1934.
La sentenza della Cassazione conferma un principio molto utile per orientarsi nei complessi meandri delle abrogazioni e declaratorie di incostituzionalità; nel merito occorre tuttavia dire che essa riguarda solo la disciplina sanzionatoria in materia di orario di lavoro e riposi in vigore fino al giugno 2008, allorché,con il decreto legge 112/2008, l'articolo 18-bis del citato Dlgs 66/2003 venne nuovamente modificato.
Sebbene con poche battute, la sentenza ha anche affrontato un secondo tema (quest'ultimo svincolato da limiti temporali). Tra le difese spiegate, il datore aveva sostenuto che il contratto collettivo applicabile al caso non prevedesse espressamente che le 11 ore di riposo giornaliero dovessero essere consecutive, in tal modo (a suo parere) derogando alla previsione legislativa e consentendone il frazionamento nell'arco della giornata. Sul tema la Corte di cassazione ha condiviso la statuizione della Corte d'appello, che non aveva ritenuto sufficiente a provare l'esistenza di una deroga al carattere continuativo del riposo giornaliero, il fatto che il contratto collettivo non ne ribadisse espressamente la necessità, come invece previsto per legge ed aggiungendo altresì come nei fatti non emergesse la possibilità per i lavoratori di godere un riposo complessivamente pari a 11 ore, sebbene frazionate. L'ampiezza del ragionamento pare aperto a previsioni collettive derogatorie, purché esplicite e confortate dall'effettiva fruizione di 11 ore complessive di riposo, anche se non continuative.

La sentenza n. 24/18 della Corte di cassazione

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©