Spesa durante il lavoro: Facebook non perdona
Facebook gendarme. Lo sa bene un forestale pugliese “immortalato” al mercato con l’auto aziendale nell’orario di lavoro in una foto postata sul social.
A dire il vero, la denuncia via Rete non è bastata al giudice per considerare legittimo il licenziamento: l’assenza era stata di pochi minuti e il tribunale di Bari ha dichiarato sproporzionata la sanzione estrema rispetto alla violazione, considerata non così grave. Ma il post ha fatto comunque perdere il posto al forestale: in questo caso la legge Fornero sostituisce il rientro al lavoro con un’indennità.
Così l’uomo - addetto alla sistemazione idraulica forestale dell’Agenzia regionale pugliese - dovrà accontentarsi dell’indennizzo di 15 mensilità previsto dall’articolo 18, comma 5, dello Statuto dei lavoratori dopo la riforma Fornero (la legge 92/2012). L’infrazione disciplinare, sia pur giudicata lieve, è stata infatti commessa e le norme in questo caso escludono il ritorno al lavoro a favore della cosiddetta tutela indennitaria “forte”.
È questo in sintesi il caso esaminato dal Tribunale di Bari con la sentenza 3252 dello scorso 10 luglio. L’operaio “incriminato” aveva lasciato il posto di servizio per andare a comprare le verdure al mercato rionale, senza essere autorizzato dal datore di lavoro né aver annotato l’assenza sul foglio presenze.
La spesa era stata prontamente documentata su Facebook da un altro avventore del mercato che aveva condiviso la foto dell’auto aziendale con annesso commento relativo al fatto che un dipendente pubblico si fosse recato al mercato invece di dedicarsi al proprio lavoro. Al post era seguito un ampio dibattito da parte degli utenti del social network, infastiditi dalla condotta dell’operaio. Tanto che dopo pochissimo tempo era persino arrivata al datore di lavoro una telefonata anonima che lo avvisava dell’accaduto. L’episodio era quindi sfociato nella contestazione disciplinare e nel licenziamento del dipendente.
In prima battuta il Tribunale di Bari aveva respinto l’impugnativa dell’operaio che però aveva presentato opposizione contro l’ordinanza del giudice lamentando che l’assenza, seppur ingiustificata, era durata pochi minuti.
Va detto che l’inquadramento del lavoratore, in quanto operaio stabilizzato presso l’Agenzia, è di matrice privatistica e non di pubblico impiego; all’operaio, tuttavia, si applica ugualmente il decreto legislativo 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego), vista la natura pubblica del datore di lavoro e gli scopi perseguiti. Ciò non è bastato, però, a far ritenere ai giudici il licenziamento irrogato proporzionale alla violazione. Nella sentenza il Tribunale di Bari spiega infatti che omettere di registrare la propria assenza non è equiparabile alla condotta ingannatoria di chi fa passare ad altri colleghi il proprio badge o altera i sistemi di rilevazione delle presenze.
La buona fede del lavoratore è stata considerata prevalente sulla sua condotta negligente. Il giudice ha focalizzato l’attenzione sull’assenza di precedenti disciplinari, sulla circostanza che avesse avvisato i colleghi che sarebbe andato al mercato e sul fatto che il dipendente quel giorno avesse iniziato il turno alle 6 dopo aver staccato il precedente alle 21.30.
E neppure il danno all’immagine dell’Agenzia, seppur esistente, è stato ritenuto così grave da ledere definitivamente il rapporto fiduciario con il dipendente. «È vero – si legge nella sentenza – che Facebook è frequentato da un’ampia platea di utenti ed è altresì dotato di una notevole potenzialità di diffusiva dei propri contenuti (...) ma il licenziamento deve ritenersi sproporzionato». Per il giudice la giusta causa può sussistere anche per fatti commessi al di fuori dalla prestazione lavorativa, ma questi devono essere idonei ad arrecare un pregiudizio all’azienda. Trattandosi però di una «nozione dal contenuto generico (...) costituisce una norma elastica che rinvia a nozioni etico-sociali, al pari della buona fede o del buon costume».
Tutti elementi per i quali i giudici hanno guardato con clemenza alla condotta del forestale. Che comunque ha perso il posto “via Facebook”.
Tribunale di Bari, sentenza 3252 del 10 luglio 2019